Tumori: sbarca in forze in Italia la prima biotech tutta cinese

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Da Beijing, dove ha sede il suo quartier generale, l’azienda BeiGene è la prima biotech tutta cinese a sbarcare in Italia con il suo carico di molecole immunoterapiche sviluppate per contribuire alla lotta dei tumori dell’esofago (molto diffusi nei paesi asiatici tra cui proprio la Cina), del polmone, di testa-collo e anche del sangue. In soli dieci anni, ha introdotto nella pratica clinica 11 nuovi farmaci. Oggi BeiGene presenta la sua pipeline composta attualmente da oltre 20 molecole.

Tumore dell’esofago: i fattori di rischio

Negli ultimi cinque anni, in Italia, i nuovi casi di tumore dell’esofago sono aumentati del 26%, da 1.900 a 2.400, ma la mortalità è diminuita del 12,4% nelle donne e del 6,7% negli uomini. “L’obesità è un fattore di rischio preponderante per l’istologia non squamosa del carcinoma dell’esofago, distale, divenuta la più frequente nei Paesi occidentali – afferma Stefano Cascinu, primario Unità di Medicina Oncologica Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e professore di Oncologia Medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. “L’abuso di alcol e l’abitudine al fumo di sigaretta, invece, sono strettamente connessi alla forma squamosa, che rappresenta circa il 40% del totale dei casi che trattiamo al ‘San Raffaele’, uno dei principali centri di riferimento per la chirurgia e la cura di questa neoplasia. La differenza è sostanziale ai fini del trattamento prima dell’intervento chirurgico”.

Tumore dell’esofago in fase avanzata

Purtroppo, però, circa due terzi dei casi, vengono scoperti già in fase avanzata, in cui la sopravvivenza non supera i 10 mesi. “Troppi pazienti – prosegue Cascinu – scoprono la malattia in stadio avanzato, non più operabile. E sono persone molto fragili, spesso colpite anche da altre malattie, con una bassa qualità di vita. Da qui la necessità di terapie efficaci e tollerabili. La svolta può venire dall’immunoterapia, che rinforza il sistema immunitario contro il cancro”. Una delle molecole innovative sviluppate da BeiGene, tislelizumab, ha evidenziato un netto miglioramento della sopravvivenza proprio nei pazienti con tumore dell’esofago squamoso in fase avanzata non operabile o metastatica e già trattati. “Nello studio internazionale di fase 3, ‘Rationale 302’ – spiega Cascinu – sono stati arruolati 512 pazienti da 11 Paesi con carcinoma dell’esofago squamoso avanzato non operabile o metastatico e già trattati. Tislelizumab è stato confrontato con la chemioterapia e, per la prima volta, si è evidenziato un miglioramento della sopravvivenza globale. L’immunoterapia è destinata a giocare un ruolo fondamentale anche nelle altre fasi della malattia, da quella preoperatoria alla prima linea”.

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L’immuoterapia per i tumori testa-collo e il polmone

Un’altra neoplasia poco frequente e fortemente condizionata da fattori di rischio come fumo e alcol è quella della testa-collo. Nel 2020 in Italia sono state stimate 9.900 nuove diagnosi. “In uno studio di fase 1, tislelizumab in monoterapia ha evidenziato tassi di risposta di circa il 15% in pazienti con malattia avanzata”, spiega il primario dell’Irccs San Raffaele. “Anche in questa patologia l’immunoterapia può diventare una pietra miliare, così come è già una realtà consolidata in un tumore molto frequente come quello del polmone. Nello studio internazionale di fase 3 ‘Rationale 303’2, presentato recentemente al congresso AACR (American Association for Cancer Research), su 805 pazienti colpiti da cancro del polmone non a piccole cellule avanzato o metastatico, tislelizumab, in seconda e terza linea, ha evidenziato una sopravvivenza globale mediana di 17,2 mesi rispetto a 11,9 mesi con la chemioterapia e il tasso di sopravvivenza libera da progressione a un anno ha raggiunto il 23,3% con la nuova molecola immunoterapica rispetto al 5,7% con chemioterapia”. Tislelizumab è in fase di sperimentazione e in sviluppo clinico in diversi tipi di cancro. Recentemente BeiGene ha avviato una collaborazione con Novartis Pharma, garantendo a Novartis i diritti di sviluppo, produzione e commercializzazione di tislelizumab in Nord America, Europa e Giappone.

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La macroglobulinemia di Waldenstrom

Nuove opzioni sono disponibili anche per i pazienti affetti da una neoplasia del sangue molto rara come la macroglobulinemia di Waldenstrom che colpisce ogni anno circa 250 persone in Italia.  Si tratta di un linfoma indolente, quindi i pazienti restano di solito asintomatici per molto tempo senza necessità di terapie. “La malattia – spiega Paolo Ghia, direttore Programma di Ricerca Strategica sulla Leucemia Linfatica Cronica presso l’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e ordinario di Oncologia Medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele – si caratterizza per la presenza di una proteina, la componente monoclonale M, che si accumula nel sangue. Quando raggiunge livelli elevati può provocare i sintomi, come vertigini, formicolii, disturbi della vista e sanguinamenti dal naso, determinati dall’aumento della viscosità del sangue che non riesce ad arrivare nei distretti periferici, e quindi può essere iniziato il trattamento”. Altri motivi di inizio della terapia sono l’ingrossamento dei linfonodi o la diminuzione dei globuli rossi (anemia) o delle piastrine nel sangue.

Le terapie

La sopravvivenza mediana è di circa 5-10 anni. Il trattamento di prima linea è costituito dalla immuno-chemioterapia. In seconda linea, possono essere utilizzate le terapie mirate e, in particolare, gli inibitori di BTK. “Zanubrutinib è un inibitore di BTK di nuova generazione che si caratterizza per un’elevata efficacia e tollerabilità”, prosegue Ghia. “Nello studio ‘Aspen’ su circa 200 pazienti, sia in prima linea sia in quelli ricaduti o refrattari, la molecola ha dimostrato un’efficacia simile a ibrutinib, inibitore di BTK di prima generazione, garantendo però una migliore qualità di vita, con effetti collaterali meno frequenti. Il tasso di risposta è stato del 77%, con l’85% dei pazienti senza progressione di malattia a 18 mesi”. L’incidenza e la gravità della maggior parte delle tossicità causate da inibitori di BTK (inclusa la fibrillazione atriale) erano inferiori con zanubrutinib rispetto a ibrutinib. E, in uno studio pubblicato sulla rivista “Blood”, il tasso di risposta globale con zanubrutinib ha raggiunto il 96% nel trattamento a lungo termine, con risposte complete del 45% e un buon profilo di tollerabilità sia in prima linea che nei pazienti ricaduti o refrattari.

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La leucemia linfatica cronica

Zanubrutinib è stato approvato per il trattamento della macroglobulinemia di Waldenstrom in Canada (1 marzo 2021) e l’approvazione da parte dell’ente regolatorio europeo (EMA) è attesa nel corso del 2021. Zanubrutinib ha evidenziato promettenti risultati anche nella leucemia linfatica cronica, che ogni anno in Italia fa registrare circa 2.800 nuove diagnosi. “Ingrossamento dei linfonodi, anemia e piastrinopenia con febbre e sensazione di affaticamento sono manifestazioni della malattia, che rientra fra i linfomi indolenti”, continua Ghia. Sulla rivista ‘Haematologica’ sono stati pubblicati i dati di un braccio dello studio ‘Sequoia’ su 109 pazienti ad alto rischio a causa di un’anomalia genetica, la delezione del cromosoma 17 e trattati con zanubrutinib. È uno dei pochi studi al mondo che ha incluso questa specifica popolazione, che non risponde alla immuno-chemioterapia e pertanto aveva in passato una speranza di vita non superiore a 3 anni dall’inizio del trattamento. “Il tasso di risposta – aggiunge Ghia – è stato del 94%, con l’89% dei pazienti senza progressione di malattia a 18 mesi. In questo modo diventa più facile gestire anche le forme più gravi della leucemia a lungo termine. La recente revisione delle linee guida europee ha ridotto i pazienti candidabili alla immuno-chemioterapia in prima linea, per cui le terapie mirate sono destinate a diventare sempre più lo standard di cura anche nei pazienti non trattati in precedenza”. Zanubrutinib è approvato per il trattamento dei pazienti con leucemia linfatica cronica da parte dell’ente regolatorio cinese (China National Medical Products Administration, NMPA).

Il linfoma mantellare

Un altro tumore che colpisce i linfociti B, come la macroglobulinemia di Waldenstrom e la leucemia linfatica cronica, è il linfoma mantellare, che fa registrare 500 nuovi casi ogni anno in Italia con una sopravvivenza mediana di circa 5 anni. “È più aggressivo rispetto agli altri due tipi di linfomi e richiede terapie che garantiscano risposte più profonde per ottenere un maggior controllo della malattia”, spiega Ghia. “La prima approvazione di zanubrutinib negli Stati Uniti riguarda proprio questa forma più aggressiva di linfoma non-Hodgkin. Si tratta del primo studio interamente condotto in Cina che ha determinato l’approvazione da parte dell’ente regolatorio americano (Fda) e della China National Medical Products Administration. La risposta globale è stata dell’84%, quella completa, che indica l’assenza della malattia agli esami radiologici come Tac e Pet, era pari al 69%”.

Perché una biotech in Cina

C’è molto fervore e attesa rispetto alle novità terapeutiche di BeiGene. Attualmente sono in corso più di 60 studi clinici in 35 Paesi, che spaziano dai tumori gastrointestinali e del seno al melanoma fino alle neoplasie ginecologiche. E in Italia sono coinvolti circa 50 centri di ematologia in sperimentazioni promosse dall’azienda biotech. Singolare la storia della company che ha tra i suoi fondatori un ‘uomo di scienza’, Xiaodong Wang, fondatore e direttore dell’Istituto nazionale di scienze biologiche di Pechino dal 2003 oltre che membro della National Academy of Science e dell’Accademia cinese delle scienze. “Proprio la scorsa settimana – racconta Claudia Rigamonti, direttore medico per l’Italia e i Balcani di BioGene – ha ricevuto un riconoscimento dall’American Association for Cancer Research per i suoi studi sull’apoptosi. Oggi BeiGene impiega più di 5.400 persone nel mondo, con 23 uffici in 5 continenti, di cui 1.600 dedicate alla ricerca. Il nostro obiettivo è offrire terapie efficaci per migliorare la qualità di vita dei pazienti colpiti da patologie oncologiche ed ematologiche. L’azienda nasce in Cina anche per portare in questo paese farmaci innovativi che spesso non vengono concessi”. 

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