Un anno senza Patrick Zaki. Il grido di Bologna: “L’Egitto lo liberi, lo aspettiamo qui”

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Oggi è un anno, 365 giorni senza Patrick. Bologna lo reclama a gran voce: ora basta, liberatelo. E’ un suo studente, iscritto al master europeo Gemma dell’Alma Mater ed ora suo cittadino onorario. Atterrato il 7 febbraio al Cairo per andare a trovare i genitori a Mansura, sua città natale, Patrick George Zaki non è mai arrivato a casa. E nemmeno è potuto rientrare in Italia e riprendere gli studi. E’ in carcere nella prigione di Tora, alla periferia del Cairo. Ingiustamente detenuto. E mentre la mobilitazione non si arrende, cresciuta dal basso in tutta Italia e oltre, grazie ai suoi amici, al comitato di attivisti “Patrick Libero” e Amnesty, è la sua assenza a pesare.

Abbiamo dedicato a Patrick questo approfondimento, con il minidoc che racconta il suo legame fortissimo con Bologna, dove era arrivato a settembre 2019 e aveva terminato il primo semestre del corso legato ad altre sei università europee, tra cui la capofila Granada, in prima linea per lui. Sono i suoi amici a far capire come lui sia diventato “bolognese”, pur non sapendo parlare italiano.

Gli studenti internazionali sono la sua seconda famiglia. Vita da fuorisede, ricercatore aperto e curioso, sempre in cerca dell’incontro tra persone e culture, passioni che s’intrecciano, la musica popolare egiziana e “L’amica geniale” della Ferrante, il koshari e la piadina, il tifo calcistico e la determinazione nella battaglia sui diritti umani. Il sogno di migliorare l’Egitto, l’innamoramento per Bologna. Una birra? Patrick ti dava appuntamento in piazza San Francesco. Il calcetto al Cusb ogni settimana, le serate a ballare o in giro per la città: “Dai, ci vediamo sotto le Torri”.

L’artista Alessandro Bergonzoni, sempre presente nei presidi per chiedere la sua liberazione, legge le drammatiche lettere inviate dal carcere in cui Patrick, che soffre di asma e rischia per il covid, racconta dei mal di schiena, perché dorme per terra, si chiede il motivo del suo essere prigioniero, si dispera, si affida agli amici di Bologna. E abbiamo raccolto i messaggi, personali, del rettore Francesco Ubertini, del sindaco Virginio Merola e del cardinale Matteo Zuppi.

Un modo per raccontarvi Patrick, quei suoi riccioli neri e il sorriso che l’artista ravennate, docente all’Accademia di Belle Arti, Gianluca Costantini, ha fissato nel ritratto che ora è un poster sotto le Due Torri. Un volto, dietro un filo spinato. Ma Bologna, è la storia di questa città, non si arrende come non lo fanno la famiglia, gli attivisti, gli amici e compagni di studio: “Patrick libero”. Una mobilitazione in Italia, delle università e delle città, cresciuta dal basso e che ha sconfinato in Europa e oltre. Ma che ancora non ha scosso il regime del generale Abdel Fattah al Sisi.

Dai portici al carcere di Tora

Lo hanno fermato in aeroporto al Cairo e, secondo le denunce di attivisti e legali, sottoposto a torture durante un interrogatorio. Il giorno successivo il giovane compare a Mansura in stato di arresto per un mandato di cattura emesso nel 2019. Per lui 15 giorni di custodia cautelare. Le accuse formalizzate? Sono cinque: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazioni illegali, diffusione notizie false, propaganda per il terrorismo. Nessuna vera, tutte respinte. Questo l’Egitto. Le prove? Dieci post di una pagina Facebook a lui attribuita, peccato che queste non sia stata mai mostrata impedendo alla difesa di contestare l’accusa. Nella prima udienza l’avvocatessa Huda Nasrallah s’accalora: “L’accusate sulla base d’un profilo Facebook falso. L’avete torturato sei ore in aeroporto. L’avete interrogato senza difensore. Gli imputate cose accadute in Egitto mentre lui era in Italia”. Niente da fare.

La prima doccia fredda arriva il 22 febbraio: è il primo rinnovo di 15 giorni della custodia cautelare. Il 2 marzo Patrick scrive: “Sto bene ma ridatemi i miei libri”. Dopo tre giorni è trasferito a Tora, prigione per detenuti politici. Il 23 marzo la famiglia lancia un appello: “Sta male”. Cominciano i rinvii delle udienze, “causa Covid”. Le visite per la pandemia sono interrotte dal 7 marzo al 16 giugno e Patrick trascorre in carcere il suo 29esimo compleanno. Da luglio il Tribunale egiziano dispone il rinnovo della custodia cautelare, stavolta per 45 giorni. Il 29 agosto Patrick riceve la prima visita in carcere dopo 5 mesi e mezzo. Poco prima di Natale lo sfogo drammatico: “Sono esausto fisicamente e depresso”. Non c’è tregua. Sino allo scorso 2 febbraio: altri 45 giorni. “Profonda delusione” esprime la Farnesina.

Il corteo dei cinquemila, la cittadinanza onoraria

Dal basso parte la mobilitazione: prima un presidio in piazza Maggiore a Bologna, poi un corteo: in cinquemila sfilano con il rettore e il sindaco. E’ un’onda che cresce, non si ferma. Anche quando arriva la pandemia, gli attivisti trovano altre strade per non spegnere i riflettori: mail-bombing, gigantografie di Zaki, l’iniziativa “Una sedia per Zaki” (sagome nelle bibliotche, nei festival e nelle piazze delle città), webinar, appelli, i social sempre aggiornati (la pagina Facebook Patrick libero”), le raccolte di firme. L’ateneo di Bologna è in prima linea, muove le altre università in Italia e in Europa, inventa un logo: un nastro rosso, gli occhiali. Insiste il rettore Francesco Ubertini, che inaugura l’anno accademico in nome di Zaki: “Chiediamo per lui, membro della nostra comunità, il rispetto dei diritti fondamentali, dei diritti politici, la tutela della libertà d’espressione e  soprattutto il diritto alla libertà individuale”.

In Senato si spende Michela Montevecchi (M5S) nella commsisione Diritti umani, si mobilita la sinistra, Dem e Leu.  Si muove il Parlamento europeo con una risoluzione (David Sassoli: “Nessun compromesso su verità, giustizia e diritti umani”), 55 democratici Usa con Bernie Sanders, esortano il governo del Cairo a “rilasciare immediatamente e incondizionatamente i prigionieri di coscienza ingiustamente detenuti per aver esercitato i loro diritti fondamentali”. Tanti gli appelli degli artisti, nella mobilitazione internazionale irrompe un video dell’attrice di Hollywood Scarlett Johansson che chiede libertà per Zaki. L’11 gennaio il Comune approva all’unanimità la cittadinanza onoraria.

Il logo di Unibo  Da lunedì dieci manifesti saranno affissi in numerose città italiane grazie al contest “Free Patrick Zaki, prisoner of conscience”, ideato da Amnesty International Italia e dal festival salentino “Conversazioni sul futuro”. I vincitori del concorso sono Moises Romero (Messico), Zlatan Dryanov (Bulgaria), Christopher Scott (Ecuador), Rashid Rahnama (Iran), Andrea Rodrigues e Rita Reis (Portogallo) e degli italiani Mattia Pedrazzoli, Massimo Dezzani, Arianna Posanzini e Michele Carofiglio. Lunedì dalle 9.30 la diretta streaming dell’ateneo nei suoi canali social e dalle 12 la maratona musicale promossa da Amnesty International, Meeting delle etichette indipendenti e Voci per la libertà.

I poster (ansa)

Amnesty: “Rischia di rimanere in carcere due anni”

“La meglio gioventù che va all’estero viene considerata una minaccia dal regime egiziano” osserva Riccardo Nouri, portavoce di Amnesty International Italia. Ha seguito dall’inizio il caso. Ora dice, visto che la legge egiziana permette di prolungare la detenzione preventiva sino a due anni: “Occorre impedire che Patrick trascorra un altro anno così, c’è stata una delle mobilitazioni dal basso più imponenti per un caso di violazione dei diritti umani, adesso è l’attività diplomatica che deve rafforzarsi e rendersi più pressante”.

La sua prof: “Ti aspettiamo”

Al master Patrick è arrivato con una prestigiosa borsa di studio, su 600 candidati l’hanno ottenuta in 29 in tutta Europa e in 4 a Bologna. “È un ragazzo brillante, una grande persona” racconta Rita Monticelli, coordinatrice del Master Gemma in Studi di genere. Parla con orgoglio del suo llievo, si commuove. “Molte volte ci parlava dell’Egitto, ha una visione del suo paese di grande affetto, con una passione per la musica popolare egiziana”. I suoi interessi vanno dagli studi di genere alle utopie e distopie, alla memoria culturale e i traumi. Tra gli autori letti, e preferiti, la canadese Margaret Atwood, Kazuo Ishiguro (“Non lasciarmi”), Elena Ferrante. “La sua preoccupazione è capire i testi letterari”.

A Patrick, la professoressa manda un personale messaggio: “Ti pensiamo tutti i giorni, per me non sei solo uno studente ma un amico e un fratello. Il tuo posto è qui, quando tornerai riprenderai gli studi. La libertà e la giustizia che chiediamo per te sono i valori che ci hai trasmesso. Ti vogliamo bene. Cerca di coltivare, nonostante l’incertezza e la terribile situazione, quella speranza che insieme abbiamo imparato attraverso i nostri libri come orizzonte a cui tendere sempre. Ti aspettiamo. Dal primo giorno ti abbiamo promesso che non ti avremmo lasciato solo, lo continuiamo a ripetere oggi, dopo un anno, con maggiore forza”.

La sorella Marise: “Accuse infondate”

“Oggi è un anno che mio fratello si trova in un carcere egiziano, per accuse infondate. Si occupa solo di diritti umani ed è interessato alle questioni delle minoranze nel suo Paese. Non sappiamo quando finirà questo incubo”. Marise, la sorella di Zaki, ha parlato alla vigilia del terribile anniversario – un anno in cui suo fratello è detenuto – al Tg de La7. “Noi come famiglia vorremmo ringraziare l’Università di Bologna, i docenti, gli studenti, per il loro interesse e l’incessante sostegno a Patrick, tutte le città che hanno concesso a Patrick la cittadinanza onoraria e le università italiane ed europee che lo sostengono, le istituzioni di società civile italiane e europee. Ciò che Patrick ci dice durante le visite è: continuate quello che avete iniziato per rendere vicina la mia libertà. Patrick mi manca molto, non sappiamo quando potremmo riabbracciarlo, speriamo accada presto”.

Amr, l’amico di Patrick: “Lottiamo contro le dittature”

Amr Abdelwahab, ingegnere informatico, 29 anni, nel 2015 è dovuto fuggire dall’Egitto, perseguitato come Zaki. Sono amici dai tempi dell’università, è in prima linea nella campagna per la sua liberazione “Free Patrick”. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Berlino, dove vive: “Non so cosa altro potremmo fare, non abbiamo un manuale per dire quello che funziona. Ma come abbiamo continuato a dire sin dal primo giorno, noi lavoriamo in base al principio di non aspettarci miracoli, ma senza mai disperare. Sì, puo essere che niente possa aiutarlo (a uscire dal carcere, ndr), ma questo non ci fermerà dal lavorare perchè accada. È anche importante ricordare che l’obiettivo non solo è liberare Patrick, ma almeno garantire che lui non sia dimenticato”.

Chi è Patrick per me? “E’ il migliore amico e un fratello, ne abbiamo attraversate tante insieme, semplicemente mi manca. Ma so che lui ne verrà fuori e sarà colui che ancora si prenderà cura di me, sarà al mio fianco”. Il suo è un appello accorato: “Un anno, ma niente è cambiato. Chiedo alle persone libere del mondo di combattere la propria battaglia per garantire che i loro governi non sostengano le dittature: ovunque, non solo in Egitto. Prego le persone di ricordare che i prigionieri politici in Egitto non sono solo numeri e statistiche, ma persone con una famiglia e una vita. La peggiore paura di un prigioniero politico, in ogni momento, è quella di essere dimenticato. Patrick è in prigione per un motivo e questo motivo è che lui sostiene e combatte sempre per le cose giuste. Le dittature devono capire che arrestare persone come Patrick, semplicemente, rende sempre più grande il suo messaggio”.

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