Una campagna elettorale senza futuro

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C’è una parola di tre sillabe che nessuno ha il coraggio di pronunciare a due settimane dal voto: futuro. Nell’esercizio democratico della campagna elettorale non sembra esserci alcun riferimento esplicito a che cosa debba diventare il Paese da grande, e soprattutto in che modo debbano viverci nei prossimi decenni gli italiani che oggi hanno venti, trenta o quarant’anni.

Potremmo dire che l’assenza di futuro non è poi una novità del momento, per l’Italia, ma va indagata perché almeno tre fattori corrono in questa direzione. Il primo fenomeno è globale, trasversale perché supera le categorie, dalla politica al commercio alle serie tv, e riguarda la nostalgia. Preferiamo il passato perché sappiamo come sono andate le cose, eravamo più giovani, e siamo sopravvissuti. Ah, che nostalgia i mitici anni Ottanta, e guai a ricordare, per dire, che in Italia lavorava una donna su tre.

Il secondo fattore può valere come consolazione: non ci sono più nemmeno le care vecchie promesse elettorali. Tutti a parlare di price cap, poi ci occuperemo di quella che è sempre stata considerata come un’idea carina ma in fin dei conti opzionale, ovvero “il futuro dei nostri giovani”. I leader non fanno più nemmeno finta di occuparsi delle generazioni più giovani e del futuro, sperando di poter rimandare il problema di altri cinque anni. Nei programmi dei partiti ci sono delle proposte anche interessanti come la dote ai diciottenni e la pensione di garanzia del Pd: in entrambi i casi non è spiegata dove trovare la copertura di bilancio per attuarle. La destra propone Quota 41 (per parlare di giovani parla di pensioni), ma è stata dimostrata la scarsa efficacia di misure del genere. Se la copertura a bilancio si può pur sempre trovare, quel che manca è la copertura politica: nei manifesti, nei comizi, raramente la parola impronunciabile trova spazio.

Il terzo fattore è però il motore cruciale di questo silenzio, e assomiglia a una ragione inconfessabile, un profondo senso di colpa. I partiti e i leader non parlano di futuro perché spesso non sanno davvero che dire. È un dramma che si consuma dal privato al politico, come un genitore che guarda il figlio in difficoltà, con un lavoro sottopagato, ma non sa proprio come aiutarlo. Due indagini di Repubblica fotografano puntualmente lo stato dell’arte. Il sondaggio di Swg pubblicato il primo settembre conferma la fatica dei giovani italiani nel riconoscersi in un partito, nonostante sia una generazione che ha ben chiare le priorità politiche. Dopo la fiducia data ai 5 Stelle nel 2018, nessun partito sembra saper parlare ai giovani. Non servirebbe nemmeno un sondaggio per capire che la priorità è il lavoro: i dati pubblicati ieri da questo giornale completano il quadro, con il 13 per cento dei giovani lavoratori a rischio povertà, perché guadagnano meno di 876 euro al mese, lo stipendio medio poco superiore ai mille euro, e un sistema di fatto duale con tanti diritti solo per chi è arrivato prima.


I partiti hanno certo delle attenuanti di contesto. Ma le emergenze non possono diventare alibi. La crisi energetica e la crisi del debito (a volte ritorna) non dovrebbero farci dimenticare che il mondo va avanti, deve andare avanti. Proprio la crisi energetica, paradossalmente, dopo decenni di soli convegni sulla diversificazione energetica, ci ha convinti a diversificare. Il futuro va dunque progettato, mentre i partiti sono ostaggio dell’elettore medio: raramente mettono a fuoco gli under 40, in primis perché le loro proposte sono orientate a garantire i garantiti, a partire dagli italiani che vivono in una casa di proprietà: solo il 6 per cento dei proprietari in Italia ha meno di 35 anni. Vince sempre una via conservativa, che non spaventi le basi elettorali, ed è miope anche tatticamente.

Non ci provano nemmeno, tra tentativi più o meno maldestri su TikTok e ignorando i quasi cinque milioni di italiani fuori sede, in gran parte giovani, per cui sarà più difficile votare. Le diseguaglianze generazionali avrebbero potuto essere un tema centrale della campagna, con la proposta di un patto per ripartire. Sarebbe stata un’idea persino banale, scontata, visti i numeri, e invece continuiamo a parlare di pensioni. Ma i redditi dei giovani sono un problema per chiunque voglia guidare il Paese: tra un po’, i primi a chiedere ai partiti di intervenire saranno i boomer. Le loro pensioni devono essere pagate proprio dai contributi dei millennials, così forse il problema diventerà più chiaro. A proposito di futuro, il giorno migliore per iniziare a cambiare è sempre quello prima di domani.

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