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Vaccini in ritardo, mr. AstraZeneca si difende: “L’Europa porti pazienza: non stiamo violando il contratto, e il Regno Unito è partito prima”

LONDRA. È stata accusata dal commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, di trattare l’Italia e i Paesi Ue come “poveracci” nella corsa al vaccino di Oxford che venerdì dovrebbe essere approvato dall’Agenzia del Farmaco europea Ema. È stata minacciata di “cause legali” dal premier italiano Giuseppe Conte dopo l’annuncio della riduzione della consegna delle dosi del vaccino di Oxford del 60% nel primo trimestre 2021, il che significherebbe che nel nostro Paese verrebbero consegnate 3,4 milioni di dosi anziché 8 milioni”. È stata accusata dall’Ue di scarsa trasparenza e di reticenza sui motivi dei ritardi nella consegna di complessive 300 milioni di dosi per l’intera Ue nei prossimi mesi. Ora, però, dopo tanti silenzi e no comment, per la prima volta AstraZeneca risponde. E in esclusiva con Repubblica e i giornali dell’alleanza Lena parla il ceo (amministratore delegato) Pascal Soriot.

Francese, 61 anni, l’imprenditore che dopo Roche dal 2012 ha riportato in alto l’allora zoppicante colosso farmaceutico di AstraZeneca. Soriot discute di tutto: i motivi del ritardo delle dosi all’Ue, la priorità acquisita dal Regno Unito di Boris Johnson per aver firmato un contratto con la multinazionale britannico-svedese tre mesi prima dell’Europa, spiega perché non ci sono le basi per una causa legale contro AstraZeneca come minacciato dall’Italia, contesta le “ingiuste accuse” di voler “vendere il vaccino anti Coronavirus ad altri” (“è tutto no profit”) e racconta perché la strategia britannica di ritardare la seconda dose e vaccinare molte più persone con una sola somministrazione, “è la strada giusta”.

Pascal Soriot, perché sinora AstraZeneca non ha specificato pubblicamente i motivi dei ritardi della consegna di dosi del vaccino anti Covid all’Ue? Qual è il problema, esattamente?

“Siamo stati piuttosto specifici con l’Ue. Certo, anche noi siamo delusi, perché ci piacerebbe riuscire a produrre di più. A febbraio riusciremo a consegnare all’Europa una quantità soddisfacente, molto simile a quanto fatto con altri Paesi su base mensile. Stiamo lavorando in centinaia, anzi migliaia, 24 ore su 24, sette giorni su sette per risolvere i problemi. Molti di noi non hanno preso nemmeno le vacanze a Natale”.

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Che cosa intende con “quantità soddisfacente”?

“Appena avremo l’approvazione dell’Ema, nei giorni successivi invieremo subito 3 milioni di dosi in Ue, poi ci sarà un’altra fornitura corposa nella settimana successiva e così nella terza e quarta settimana del prossimo mese. L’obiettivo è recapitare all’Unione europea 17 milioni di dosi entro la fine di febbraio. Di queste, faccio una stima superficiale perché l’esatta allocazione la fa l’Ue, 3 milioni di dosi in Germania, 2,5 circa in Italia e due in Spagna. Vorremmo poter fare molto di più, ma non è neanche poco”.

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Ma quali sono esattamente i problemi della catena di distribuzione europea del vaccino?

“La produzione del nostro vaccino è composta essenzialmente di due fasi: una è la produzione in senso stretto, l’altra è la resa in farmaco. Poi c’è anche una terza, ossia la confezione del prodotto finale nelle fiale. Per quanto riguarda la catena di produzione dedicata all’Ue, la prima fase viene realizzata in due stabilimenti in Belgio e Paesi Bassi; la seconda fase invece in due centri in Germania e Italia, ad Anagni (nella fabbrica “Catalent”, ndr), dove il team italiano sta facendo uno straordinario lavoro. Per quanto riguarda quest’ultima non abbiamo alcun problema. Le difficoltà nascono con la produzione della sostanza basica del vaccino. Provo a semplificare al massimo: abbiamo colture cellulari in grandi lotti da complessivi mille o duemila litri, dove viene immesso il virus per generare il vaccino, e cioè il “raccolto” generato dalle cellule. Ma alcuni siti generano più “raccolto”, altri meno, come è accaduto in uno dei nostri siti europei, in un rapporto fino a tre a uno: ossia una fabbrica di vaccino molto efficiente può produrre fino al triplo della stessa fabbrica meno efficiente. Ciò è dovuto anche alla tecnologia (basata su un adenovirus, ndr) che utilizziamo per il vaccino di Oxford, lo stesso di Johnson&Johnson. Queste disfunzioni nel “raccolto” possono aumentare quando si alza la produzione a centinaia di milioni di dosi di un nuovo vaccino che, vi ricordo, fino a un anno fa nemmeno avevamo. Siamo due mesi indietro rispetto alla tabella di marcia, ma stiamo lavorando per risolvere questi problemi, che spesso sono di varia natura. Nel nostro stabilimento in Belgio, per esempio, l’intoppo è legato al filtraggio del vaccino prima che venga immesso nelle fiale per la distribuzione”.

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Ma perché questi intoppi non sono avvenuti nella catena di produzione delle dosi di vaccino destinate al Regno Unito?

“Abbiamo avuto problemi anche in questo caso, ma il contratto di fornitura con il governo britannico è stato firmato tre mesi prima di quello con l’Ue e quindi abbiamo avuto il tempo di prepararci e risolvere simili disfunzioni in attesa dell’ok dell’agenzia del farmaco britannica (arrivato lo scorso 30 dicembre, ndr). Ma tra febbraio e marzo riprenderemo a produrre a capacità massima anche per l’Ue”.

Quindi l’Europa ha firmato un contratto con voi troppo tardi (fine agosto 2020), rispetto al governo di Boris Johnson (prime 30 milioni di dosi ordinate a metà maggio 2020)?

“Non voglio esprimermi su questo. Ma i fatti sono questi: il primo contratto di fornitura firmato tra AstraZeneca e il governo Johnson è avvenuto tre mesi prima dell’intesa con l’Ue. Quando abbiamo firmato il nostro accordo di collaborazione con l’università di Oxford, l’ateneo era già in stretto contatto e coordinamento con il governo britannico: quindi si sono organizzati per tempo e hanno avuto una partenza lampo. Oxford ci ha dato la formula del vaccino, noi abbiamo pensato a produrla su scala industriale in pochi mesi, quando in genere servono anni per mettere su una macchina da miliardi di dosi di vaccino all’anno: oltre alle riconversioni tecniche, pensate solo all’addestramento dei lavoratori e dei tecnici per un’impresa simile. In tutto questo, può capitare che la tabella di marcia possa subire dei ritardi. Sfortunatamente, è capitato che i siti meno efficienti per ora siano in Europa. Ma è stato un caso e di certo non lo abbiamo fatto apposta a scapito dell’Ue. Il nostro direttore finanziario è europeo (Marc Dunoyer, francese, ndr), molti dirigenti sono europei, io sono francese, la nostra multinazionale è britannico-svedese: come potremmo mai fare una cosa simile all’Ue? Al momento all’Europa va il 17% della produzione totale del vaccino di Oxford/AstraZeneca nonostante gli europei siano il 5% della popolazione globale. Inoltre, ricordo che questo è un vaccino no profit per noi. Non ne ricaviamo un soldo”.

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Ma l’Ue è molto arrabbiata e l’altra sera ha minacciato persino di bloccare le esportazioni “a Paesi terzi” delle dosi del vaccino Oxford-AstraZeneca prodotte in Europa. Qualcuno addirittura sospetta che voi in realtà lo stiate vendendo ad altri Paesi.

“Questa accusa è semplicemente errata, perché, lo ripeto, sul vaccino anti coronavirus non facciamo profitti né qui né altrove nel mondo, ed è scritto nero su bianco nel contratto di collaborazione con Oxford. Certo, molte persone sono stanche, il mondo vuole vaccinarsi e i governi sono sotto pressione, lo comprendo appieno. Ma non dirottiamo i vaccini degli europei ad altri Paesi che, secondo questa ricostruzione ingiusta, ci pagherebbero. Sarebbe insensato da parte nostra, dopo il nostro pubblico impegno nei confronti di Oxford e della collettività tutta”.

Lei dice che per il Regno Unito avete avuto tre mesi di tempo in più per approntare la catena produttiva. Ma allora perché avete preso un impegno simile con l’Ue (400 milioni di dosi) se sapevate che sarebbe stato molto complicato onorarlo?

“Come detto, Uk e Ue hanno due catene produttive diverse e al momento quelle britanniche sono più efficienti perché sono partite prima. In ogni caso, sia chiaro: non c’è alcun obbligo verso l’Unione europea. Nel nostro contratto c’è scritto chiaramente: “best effort”, ossia “faremo del nostro meglio”. In quella sede abbiamo deciso di utilizzare questa formula nel contratto perché all’epoca l’Ue voleva avere la stessa capacità produttiva del Regno Unito, nonostante il contratto sia stato firmato tre mesi dopo. Così noi di AstraZeneca abbiamo detto: “Ok, faremo del nostro meglio, faremo il possibile, ma non possiamo impegnarci contrattualmente perché abbiamo tre mesi di ritardo rispetto al Regno Unito”. Non è dunque un obbligo contrattuale, ma un impegno a fare il massimo. Perché sapevamo che sarebbe stato difficile e difatti ora abbiamo un po’ di ritardo”.

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Quindi nell’intesa con l’Ue c’è scritto solo che vi impegnerete, ma senza rigidi obblighi contrattuali nella consegna delle dosi.

“Esatto. Ora siamo contenti che abbiamo un vaccino ma molti pensano che sia una cosa facile. Prima ci dicevano che andavamo troppo veloce perché era impossibile realizzare un vaccino in un anno perché ce ne sarebbero voluti diversi, ora ci dicono che andiamo troppo lenti…”.

L’Italia è uno dei Paesi che ha esplicitamente annunciato una causa legale contro AstraZeneca per il ritardo nella consegna delle dosi. Ma, secondo quanto lei dice Soriot, non c’è dunque base per una denuncia.

“Non voglio esprimere giudizi su ciò che hanno annunciato altri. Le ho detto quello che c’è nel contratto ed è molto chiaro. Il nostro impegno è basato sul “best effort”, faremo il massimo sforzo. Ma capisco che le emozioni prendano il sopravvento in questo momento: tutti vogliono il vaccino, e comunque sinora abbiamo una produzione di 17 milioni di dosi al mese. Non è poca roba. È un processo complicato”.

Ma se la catena produttiva europea ha subito dei ritardi e imprevisti tecnici, perché non “spostate” una parte delle dosi prodotte in Regno Unito in Ue, per esempio?

“L’accordo con il governo Johnson è stato raggiunto tre mesi prima di quello con l’Unione europea. L’esecutivo britannico ha detto all’epoca che il Regno Unito avrebbe avuto la priorità sulle dosi prodotte nel proprio Paese, e le cose stanno così. Nell’accordo che abbiamo firmato con l’Europa, invece, c’è scritto che la fornitura europea potrebbe sì arrivare anche dal Regno Unito, ma questa è solo una possibilità e solo secondaria. Uk sta vaccinando molto rapidamente: oramai 2,5 milioni di persone a settimana, fino a 500mila al giorno. Appena si sarà raggiunto un numero di vaccinazioni sufficienti in Regno Unito, allora potremo utilizzare gli stabilimenti britannici anche per la fornitura destinata all’Unione europea. Ma il contratto con i britannici è stato firmato prima, il governo Johnson ci ha chiesto “di rifornire prima noi” e questo è comprensibile. Del resto, il vaccino è stato sviluppato in collaborazione tra il governo britannico, Oxford e AstraZeneca. Ma appena ce ne sarà la possibilità, aiuteremo anche l’Ue”.

L’altro giorno il quotidiano economico tedesco “Handelsblatt” ha lanciato la bomba per cui il vaccino di Oxford sarebbe efficace all’8% tra gli anziani. Le autorità tedesche hanno seccamente smentito. Come giudica questa storia? Una mossa politica?

“Cosa posso dire? Non so da dove venga una cifra simile. È totalmente sbagliata. Tanti Paesi hanno già approvato il nostro vaccino, incluso il Regno Unito la cui agenzia del farmaco è molto severa. Avrebbero mai fatto una cosa simile se davvero l’efficacia fosse all’8% tra gli anziani? Manovre politiche? Non so. Di certo, come i test e le mascherine, anche i vaccini sono diventati uno strumento politico. E ricostruzioni fasulle come queste sono vergognose perché ingrossano solamente il movimento dei No Vax, in Germania e nel resto d’Europa, e confondono i cittadini. Mentre invece in questo momento dovremmo essere tutti uniti”.

Quindi il vaccino di Oxford è efficace sugli anziani come nei più giovani?

“Abbiamo un numero di dati limitati sull’efficacia sulla popolazione più anziana. La sperimentazione è stata gestita da Oxford che è un gruppo accademico molto etico, quindi non conducono test sugli anziani fino a quando non ci sono dati certi sulla sperimentazione sui giovani. Ma secondo i dati che abbiamo da altri Paesi, notiamo un’alta reazione di anticorpi anche negli anziani sottoposti al vaccino di Oxford/AstraZeneca. Tuttavia, la cosa più importante adesso per loro è evitare innanzitutto morti, ricoveri e degenerazioni gravi del Covid, e in questo senso il nostro vaccino protegge gli over 50 e 60”.

Il Regno Unito ha deciso di ritardare di molto la seconda dose del vaccino, che sia Oxford o Pfizer. Una strategia criticata da più parti. Vista anche la scarsezza di dosi in questo momento, soprattutto in Europa, lei consiglia questo approccio?

“Credo sia assolutamente la strada giusta. Non posso commentare sul vaccino di Pfizer per cui, secondo i loro studi, si consiglia di non superare le tre settimane di distanza tra le dosi. Ma nel nostro caso, nei test in Brasile, Regno Unito e Stati Uniti abbiamo effettuato la seconda somministrazione anche dopo 2 o 3 mesi e i risultati ci hanno soddisfatto, per vari motivi. Innanzitutto la prima dose protegge al 100% contro decorsi gravi del Covid tali da richiedere il ricovero in ospedale e fornisce una protezione generale al 71-73%. La seconda dose, invece, fornisce un’immunità a lungo termine. Ma, per gli studi che abbiamo realizzato per il vaccino Oxford-AstraZeneca, paradossalmente pare si generi più immunità se la seconda dose è ritardata: farla dopo due o tre mesi è meglio di uno. Questo perché la nostra tecnologia basata su un vettore adenovirale, è diversa dal vaccino di Pfizer che invece si basa sull’mRna. Anche il vaccino di Johnson & Johnson è simile al nostro e si sta indirizzando verso un divario di due mesi tra prima e seconda dose. Per questo non ho alcun dubbio che il Regno Unito abbia fatto la scelta giusta, massimizzando così il numero di persone vaccinate, che arriverà a 28-30 milioni già in marzo”.

Lei si vaccinerà con Oxford/AstraZeneca?
“Certo, non vedo l’ora! Le dirò di più: mia madre, 92enne, vive in Francia e le è stato offerto il vaccino di Pfizer. Io l’ho invitata a prenderlo, ma lei fa: “No, io voglio quello tuo, di AstraZeneca”. Che è un ottimo vaccino…”.

È preoccupato dalle nuove varianti del virus? Potrebbero mettere a repentaglio il vaccino?

“Vedremo. Moderna per esempio sta lavorando su una nuova versione contro la variante sudafricana, noi stiamo facendo nuovi studi, ma quello che posso dire è che ora non dovremmo preoccuparci più di tanto. Ci sono buone probabilità che i pazienti saranno comunque protetti, nonostante le varianti, perché anche i linfociti T continueranno a immunizzarci. Alla fine, anche se non avremo un’immunità totale, saremmo comunque parzialmente protetti e avremo il tempo di aggiornare i vaccini, qualora fosse necessario. Ad ogni modo, è chiaro che il virus muta e può diventare più pericoloso, in ogni parte del mondo come abbiamo visto con le ultime varianti. Per questo dobbiamo vaccinare quante più persone nel globo. Come dice l’Ue stessa, è molto importante che ognuno nel pianeta possa avere accesso ai vaccini in modo equo e rapido. Se l’Ue afferma che potrebbe vietare l’esportazione di dosi prodotte in Europa, si smentisce da sola. Abbiamo catene di distribuzione su base locale, ma l’obiettivo, non dimentichiamolo, è sempre quello di fornire vaccini in tutto il mondo, per il bene di tutti”.



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