Venezia 78. ‘Californie’ quando un film cresce con la sua protagonista: 5 anni perché Khadjia diventi Jamila

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Non sono arrivati all’estremo di Richard Linklater, dodici anni per girare Boyhood, ma ci sono andati vicino. I registi Casey Kauffman e Alessandro Cassigoli per il film Californie, presentato alle Giornate degli Autori e poi in sala per Fandango, per cinque anni hanno raccontato la storia di formazione di Jamila, ragazzina nata in Marocco e cresciuta a Torre Annunziata. Il film dialoga con finzione e realtà, è un progetto ibrido che parte dall’incontro con la piccola Khadjia Jaafari la cui vita, seppur diversa, è cresciuta insieme a quella del film. Le difficoltà di essere una ragazzina maghrebina in Italia, di essere cresciuta fra due culture, i problemi a scuola, la passione per il pugilato, la volontà di tornare in Marocco che poi diventa invece il desiderio di mettere radici in Italia, i primi amori, la difficoltà a fare amicizia.

Venezia 78. ‘Californie’: Jamila dal Marocco a Torre Annunziata un film lungo 5 anni

Questo film è nato sul finale del vostro precedente progetto, il documentario sulla campionessa di boxe Irma Testa

“Un giorno, durante la lavorazione del nostro documentario Butterfly, una ragazzina di nove anni
partecipò casualmente alle nostre riprese regalandoci una scena intensa e fondamentale. Durante
la fase di montaggio ci soffermammo spesso sul suo sguardo deciso e allo stesso tempo misterioso: cosa stava osservando? Cosa pensava in quel momento? Dentro a quello sguardo c’era un mondo, una tensione, un mistero e, ne eravamo già convinti, una storia da raccontare. Appena terminato il documentario decidemmo di andare a conoscerla meglio e così tornammo a Torre Annunziata, una città in provincia di Napoli, “incastrata” tra il Vesuvio, il mare e la dirimpettaia Capri, un luogo che frequentiamo ormai da più di sette anni. Il carattere irrequieto, ribelle, a volte scontroso ma anche dolce, fragile e carismatico di Khadija, questo il nome della ragazzina, ci conquistò subito. Per molti mesi l’abbiamo frequentata, facendo diverse sessioni di riprese per testarne le qualità recitative. Quando capimmo che sarebbe stata in grado di sostenere il peso di un film iniziammo a pensare alla storia”.  

Quanto c’è di Jamila in Khadjia e viceversa?
“Difficile quantificare, cosa c’è di reale e cosa di finzione. Non avevamo un’idea precisa nè una sceneggiatura scritta, insiema a Khadjia il film è stato un working in progress, abbiamo mescolato elementi della sua vita vera con quelli di sua sorella e poi abbiamo riscritto tutto a partire dalla nostra esperienza di anni a contatto con i ragazzi di Torre Annunziata”.

Aspetti positivi e negativi di avere un lasso di tempo così lungo per girare un film
“Da un lato è assolutamente un lusso, ti permette di avere pause di riflessione dove poter scrivere, fare prove di montaggio, passare del tempo con la protagonista oltre al fatto di veder crescere sotto i tuoi occhi questa ragazzina che abbiamo conosciuto a 9 anni e accompagnato fino ai 14 completamente cambiata, dal punto di vista fisico e caratteriale. Dal punto di vista produttivo invece fare un film su cinque anni è veramente difficile, probabilmente il sistema produttivo italiano non è pronto per questo tipo di film ibridi che mescolano realtà e finzione e poi a livello di troupe è stato complicato riuscire a mantenere la stessa troupe a partire dal direttore della fotografia per tutto questo tempo, ce l’abbiamo fatta ma è stato complicato”.

Al centro del film c’è la crescita di una ragazza divisa tra due mondi: quello da cui viene, il Marocco dei suoi genitori, e l’Italia dove è cresciuta.
“Non siamo noi andati a cercare lei, è lei che è venuta da noi. Ce la siamo ritrovata sul set di Butterfly, ma poi la sua identità è stato un elemento di maggior destabilizzazione, andando sul piano della realtà Khadija a differenza di Jamila è entrata nel tessuto sociale di Torre Annunziata che poi per diverse ragioni ha delle similitudini con il Marocco. C’è stato un momento in cui ha perso i suoi punti di riferimento, quelli del pugilato, del suo maestro e lì abbiamo capito che era importante il film per una ragazza di questa intelligenza e carattere, con la finzione siamo rimasti in quell’ambito anche se invece la realtà per fortuna ha portato Khadija da un’altra parte”.

Oggi Khadija cosa fa, che rapporto ha col cinema?
“Di sicuro non vuole fare l’attrice. Ha proseguito nel mondo del pugile, è campionessa italiana nella sua categoria, sembra ripercorrere le orme di Irma in qualche modo. Anche per questo abbiamo scelto di mettere in scena una storia diversa, che in parte ha preso ispirazione invece da quello che è successo a sua sorella che poi è andata a lavorare come badante”.

Il titolo del film ha un significato di trama: Californie è il salone di bellezza dove lavora Jamila che avrebbe dovuto chiamarsi California e per l’errore dello stampatore si chiama Californie, ma c’è anche un altro significato?
“Inizialmente l’idea veniva da un quartiere di Casablanca dove Jamila sognava di tornare a vivere, poi ci piaceva anche l’idea della California come un rimando ad un territorio altrove che però non è esattamente quello a cui uno pensa. Rimanda anche al tipo di film che non vuole essere un film con una tesi, una struttura che possa lasciare aperto a varie interpretazioni”.

Qual è la vita del film?
“Il film verrà distribuito da Fandango che si è innamorata del progetto. Ora come ora ci sono tanti film in uscita quindi il nostro non esce subito, abbiamo intenzione dopo Venezia di portarlo in giro ad altri festival”.

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