Non è una statua, come si vede. Non è una statua l’ambasciatore russo Sergey Andreev aggredito oggi a Varsavia durante la cerimonia al mausoleo di guerra dei soldati sovietici. La colata di vernice rossa che copre il suo volto e le sue mani allude evidentemente al sangue che scorre in queste settimane di guerra.
Ma l’estetica del contemporaneo mista all’elettricità del presente crea curiosi cortocircuiti visivi; e la prima cosa che ho pensato davanti al signor Andreev ‘insanguinato’ è che somigliava al monumento che (forse) non gli sarà eretto. Mi è parsa per un attimo la matrice viva e vegeta e camminante di una statua potenziale ma sbagliata (come la larghissima maggioranza, quasi la totalità, delle statue dedicate a semplici per quanto celebri esseri umani). Fosse stato riconosciuto il difetto nell’hic et nunc, ci saremmo risparmiati l’assalto e lo sfregio da posteri? Ovviamente è un gioco, una sofisticazione del pensiero. Ma per l’appunto rende comunque evidente la necessità di fare i conti con le idee dei vivi finché sono vivi, più che correggerle fuori tempo massimo, quando non possono ascoltarci più.
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