C’è un dilemma che affligge gli alleati. Prende forma proprio mentre a Istanbul un autentico negoziato tra Russia e Ucraina sembra decollare. Lo porta al tavolo delle potenze occidentali Joe Biden, convocando la call con i leader di Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Con un ragionamento che può riassumersi così, e che si diffonde poco dopo al vertice delle diplomazie europee: “Putin ha bisogno di vendere al suo popolo una vittoria. Difficile che sia qualcosa che noi potremo accettare”. Il timore è che lo Zar intenda forzare la mano sullo status di Crimea e Donbass. Che non si accontenti di un accordo su un regime di “autonomia speciale” che sembrerebbe agli occhi del mondo come una dura sconfitta delle ambizioni di Mosca. Si teme insomma che stia preparando la parata del 9 maggio – quella che celebra ogni anno la vittoria sui nazisti – per annunciare qualcosa che Zelensky non potrà digerire.
Sia chiaro, molto si muove sul fronte orientale. Sotto la regia di Erdogan, i due nemici ammettono pubblicamente e per la prima volta di essere disponibili ad alcuni sacrifici. I russi sgombrano il tavolo dal concetto di “de-nazificazione” e si mostrano sostanzialmente aperti ad accettare un percorso che porti Kiev – sia pure in tempi non brevi – nell’Unione europea.
Gli ucraini dicono con chiarezza che non aderiranno alla Nato e aprono all’opzione di lunghi negoziati per le due regioni russofone contese. Il capo negoziatore di Zelensky si spinge anche oltre, ipotizzando un meccanismo che porti l’eventuale forza di interposizione composta dai garanti internazionali – i dieci Paesi, tra cui l’Italia, sotto l’egida dell’Onu – a intervenire con armi e soldati in caso di aggressione russa, chiudendo contestualmente i cieli d’Ucraina.
Segnali positivi, base negoziale da non sottovalutare. Eppure, tra gli alleati prevale per ora lo scetticismo. Un po’ perché Washington continua a preferire il logoramento di Putin e sembra orientata a non avallare un’intesa in tempi troppo stretti, temendo che passi un messaggio di impunità rispetto alle mire espansionistiche di Mosca. Un po’ perché lo Zar continua ad alternare promesse e bombe. Lo dice il segretario di Stato americano Antony Blinken, segnalando la distanza tra “le parole” di Putin e “quello che fa”: “Non vedo reale serietà”, è la sintesi.
È la traduzione diplomatica dei ragionamenti di Biden. Per il Presidente Usa, l’investimento del leader russo nella guerra è stato enorme – così ricorda ai partner – e dunque la paura è che non accetti di chiudere la partita con una sostanziale resa, sia pure camuffata da trionfo da vendere all’opinione pubblica russa. E a quel punto, di fronte a una forzatura su Crimea, Donbass e Odessa, come reagirebbero gli occidentali?
È il dilemma, appunto. La call del formato “Quint” diventa allora l’occasione per ragionare di cosa fare oggi per evitare di trovarsi domani di fronte a quello scenario. Ed è proprio su questo passaggio che le opinioni divergono. Joe Biden preme per intensificare il flusso di armi all’esercito ucraino. Invita gli alleati a non mollare di un centimetro sulle sanzioni ed evitare “rilassamenti” rispetto alla postura rigidissima che ha strozzato i piani offensivi di Mosca. Quando tocca a Boris Johnson, i concetti diventano più affilati: “Dovremo essere implacabili nella risposta”. E dunque: armi, tante armi, e “sanzioni, sanzioni, sanzioni”.
Non è però la posizioni tedesca. Olaf Scholz teme che la crisi del gas rallenti la ripresa tedesca. Per questo, chiede addirittura di valutare una de-escalation sul fronte delle misure punitive già adottate: se Putin dovesse far seguire alle parole i fatti – è il senso dei suoi ragionamenti – l’Occidente dovrebbe valutare di concedere qualcosa per allentare la morsa. Un segnale di debolezza, per Londra e Washington.
Non è la posizione francese. Emmanuel Macron ha meno urgenza di contenere la crisi energetica, grazie al nucleare. E sembra impegnato nel perseguire in queste ore – anche se per adesso senza risultati – soprattutto il corridoio umanitario per Mariupol.
Quanto a Mario Draghi, l’approccio è chiaro: dalla parte dell’Ucraina, non ostile alle sanzioni, spinto verso la ricerca di un “cessate il fuoco”. Che non significa posizione troppo negoziale, anzi: è il modo per chiedere a Putin di mostrarsi sincero rispetto agli impegni, oltreché atto utile a ridurre la catastrofe umanitaria. Potrebbe parlarne già oggi al telefono con il leader russo, se le due diplomazie riusciranno a limare gli ultimi dettagli per stabilire il contatto.
A breve, inoltre, potrebbe essere ufficializzata una visita del presidente del Consiglio a Berlino, per un primo faccia a faccia in Germania con Scholz.
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