Violenza domestica, bimbo ucciso a Scarperia, la Corte di Strasburgo condanna l’Italia: ‘Non ha protetto la vittima’

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La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato l’Italia per non aver protetto una donna e i suoi figli dalla violenza domestica terminata in tragedia. I fatti risalgono al settembre del 2018 a Scarperia (Firenze), quando Niccolò Patriarchi uccise a coltellate il figlio di un anno, ferendo in modo grave anche la convivente e cercando di uccidere l’altra figlia.

“I procuratori – si legge nella sentenza – sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna e con la loro inazione hanno permesso al compagno di continuare a minacciarla e aggredirla”. Lo Stato dovrà versare alla donna 32mila euro per danni morali. 

A rivolgersi alla Cedu era stata la madre del bimbo ucciso, Annalisa Landi, rappresentata dall’avvocato Massimiliano Annetta. Nel suo ricorso la donna sosteneva che lo Stato italiano avesse violato il suo diritto alla vita e quello dei figli, e che la violazione nei suoi confronti fosse da imputare in parte a un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne da parte delle autorità.

Dai fatti riportati nella sentenza emerge che prima del giorno della tragedia culminata con l’uccisione a coltellate del figlio di un anno, il ferimento della donna e il tentato omicidio anche della figlia di 7 anni, il 14 settembre del 2018, la donna era stata già aggredita tre volte dal compagno, nel novembre del 2015, nel settembre 2017 e nel febbraio 2018, e che avesse sporto diverse denunce. Nonostante l’apertura di una procedura per violenza domestica e l’indicazione di un esperto che indicava la pericolosità dell’uomo a causa delle patologie di cui soffriva, consigliandone anche un programma terapeutico, durante l’inchiesta non venne presa alcuna misura per proteggere la donna e i suoi figli.

Firenze, bimbo di un anno ucciso dal padre con una coltellata, la figlia salvata dalla madre che le ha fatto da scudo

Il quarto e ultimo attacco è avvenuto nel settembre 2018, quando Patriarchi “era stato disturbato dal rumore causato dal suo figlio e da una telefonata arrivata alla donna”, e si era prima scagliato contro la figlia, prendendola per i capelli e gettandola contro il muro per poi aggredire con un coltello la donna “pugnalandola al viso e al corpo”. A quel punto lei era caduta a terra con il figlio Michele che le si era messo accanto: l’uomo allora avrebbe accoltellato più volte il piccolo, uccidendolo. Nell’ottobre 2019 Patriarchi era stato condannato a 20 anni di reclusione.

Nel giudicare il caso, la Corte di Strasburgo ha pertanto stabilito che lo Stato ha violato il diritto alla vita della donna e di suo figlio, ma non ha riconosciuto l’aggravante della discriminazione. Nella sentenza i giudici constatano che le autorità avevano il dovere di effettuare immediatamente una valutazione dei rischi di nuove violenze da parte dell’uomo e prendere le misure necessarie a prevenirli. Ma non l’hanno fatto, nonostante sapessero, o avrebbero dovuto sapere, che esisteva un rischio reale e immediato per la vita della donna e dei suoi figli. 

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