Virgilio, Donatello e il mistero del cavallo Carafa

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Dicevano che a crearla fosse stato addirittura Virgilio, il poeta dell’Eneide, grazie alle sue capacità di mago, oltre che di inventore di versi. Una gigantesca testa di cavallo in bronzo, che ritraeva un animale fremente, con le vene gonfie, la bocca semiaperta, il collo possente e un’espressione furiosa negli occhi. Si pensava fosse l’unica parte rimasta di un grande monumento equestre, collocato in una delle piazze che si aprivano lungo il decumano maggiore della città di Napoli, l’attuale Piazza Sisto Riario Sforza. Il poeta, che a Napoli studiò filosofia, visse per diversi anni e poi fu sepolto, avrebbe realizzato la grande statua con le sue arti magiche, come una sorta di gigantesco talismano, in grado di guarire dalle malattie i cavalli che venivano allevati in Campania. La leggenda sulla protome bronzea che dal 1471 troneggiava nel cortile del palazzo napoletano di Diomede Carafa viene riportata anche da Matilde Serao, nelle sue Leggende napoletane (1881). Napoli aveva una profonda e antica cultura equestre e la statua divenne uno dei simboli della città. La sua chiara ispirazione classica contribuì a confondere le notizie relative alla sua effettiva origine.

In realtà, già Giorgio Vasari, nella sua seconda stesura delle sue Vite de’ più eccellenti pittori e architettori (1568) l’attribuì correttamente a Donatello, definendola “tanto bella che molti la credono antica.” Nonostante la sua autorità, molti studiosi successivi continuarono però a ritenerla risalente al periodo ellenistico. La splendida mostra di Palazzo Strozzi a Firenze, dedicata a Donatello, che sarà possibile visitare ancora per una settimana (fino al 31 luglio) le dedica l’ultima sala del percorso, riunendola con quello che fu il suo modello classico. Una scelta sicuramente piaciuta al direttore di Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, che è un grande appassionato di equitazione, come ha raccontato, in una recente intervista, proprio a la Repubblica dei Cavalli (Vita da direttore in “equilibrio dinamico” tra arte e cavalli). A partire dal 1993, la vera storia della stupefacente testa di cavallo Carafa è stata definitivamente ricostruita proprio dagli studi di Francesco Caglioti, che della mostra fiorentina è curatore.

In effetti, la testa è solo un frammento di quello che doveva essere un monumento equestre di grandi proporzioni. Virgilio però non c’entra. Nel 1454, quando il celebre monumento equestre del Gattamelata non era stato ancora collocato davanti alla chiesa di Sant’Antonio a Padova, a Donatello venne commissionato un’analoga statua equestre, che doveva celebrare Alfonso il Magnanimo ed essere collocato nel nicchione sopra l’arco trionfale all’ingresso del Maschio Angioino, a Napoli. Dopo il ritorno a Firenze di Donatello, l’artista ricevette pagamenti e lettere di incarico, per tramite del mercante fiorentino Bartolomeo Serragli e, pur oberato da molte altre committenze, cominciò a lavorare all’opera, a partire dal 1456. L’anno successivo, però, l’artista abbandonò Firenze per Siena e la lasciò incompiuta. E così rimase, dopo la morte del re Alfonso e dello stesso Serragli, avvenute entrambe nel 1458.

Quando anche Donatello morì, nel 1466, la gigantesca testa venne acquisita dalle collezioni medicee. Nel 1471, Lorenzo il Magnifico la inviò come dono diplomatico a Diomede Carafa, che al seguito di Alfonso aveva partecipato alla conquista del Regno di Napoli da parte degli Aragonesi ed era divenuto ministro del successore di Alfonso, Ferrante d’Aragona. Lo stesso anno, il Carafa inviò una lettera di ringraziamento a Lorenzo e fece collocare la testa sulla facciata del cortile del suo palazzo, sul decumano inferiore della città di Napoli. Col tempo, però, la memoria dell’origine della statua, venne dimenticata e sostituita dalla leggenda. La testa di cavallo rimase nella sua collocazione sino al 1809, quando l’ultimo principe Carafa di Colubrano, la donò al Real Museo Borbonico, ritenendola una scultura di età classica risalente al III secolo a. C.. L’originale venne sostituito con una copia in terracotta, che si trova ancora collocata alla base della parete di fondo del cortile, sotto lo stemma aragonese.

È molto probabile che nella realizzazione della statua, così come probabilmente anche nella creazione del monumento a Gattamelata, Donatello si ispirò a un’altra testa (protome) di cavallo, questa di sicura origine classica. Si tratta di una testa in bronzo, databile tra il 340 e il 330 a. C., probabilmente realizzata in Magna Grecia, come indica la grafia di tre caratteri greci, emersi dopo l’ultimo restauro. La testa figura nell’inventario dei beni di Lorenzo il Magnifico, redatto alla fine del XV secolo. È probabile che venne acquistata dal nonno di Lorenzo, Cosimo il Vecchio, o da suo padre, Piero il Gottoso, entrambi appassionati collezionisti. Secondo il Vasari, sarebbe stato proprio Donatello a incoraggiare la passione di Cosimo per le antichità. Per Francesco Gaglioti, potrebbe quindi essere stato lo stesso artista a farla acquistare ai suoi ricchi committenti.

Dopo la caduta dei Medici, nel 1495, la testa venne sequestrata dalla Repubblica Fiorentina e trasferita in Palazzo della Signoria. Tornò nel palazzo in Via Larga, dopo il ritorno dei Medici a Firenze, nel 1512. Qui rimase e venne ammirata, un secolo e mezzo dopo, da Gian Lorenzo Bernini, che ne paragonò la squisita fattura a quella del cavallo del monumento equestre a Marco Aurelio. Alcuni anni dopo, Bartolomeo Cennini la incorporò in una fontana. Portata a Palermo, nel 1800, per essere sottratta all’avanzata delle truppe napoleoniche, fu riportata a Firenze nel 1815, per essere esposta negli Uffizi. Infine, nel 1890 entrò nella collezione del neonato Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

La protome Medici-Riccardi sorprende per la naturalezza con cui l’ignoto artista ha saputo rappresentare la vitalità e la compostezza di questo magnifico esemplare. Un orecchio è puntato in avanti, mentre l’altro si rivolge all’indietro, come ad ascoltare il sussurro dell’auriga o del cavaliere che lo guida. Ogni dettaglio anatomico è riprodotto con esattezza: le froge leggermente dilatate, danno al cavallo un’aria volitiva ma, nel complesso, dalla figura promana un’impressione di docile nobiltà. Il cavallo di Donatello, invece, ha un’aria più impetuosa, resa ancora più impressionante dalle proporzioni mastodontiche. Anche in questo caso, le orecchie sono una orientata in avanti e l’altra all’indietro, ma quasi in un gesto di stizza. Le vene sono gonfie, come dopo un galoppo di carica, che il cavaliere domina a stento, col morso, che schiude la bocca schiumante. Entrambe testimoniano il profondo legame dell’uomo al cavallo attraverso i secoli e continuano ad affascinare e sorprendere tutti coloro che amano il bello e questi splendidi animali.

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