L’importanza dell’intelligenza umana e la lezione di Leopardi

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L’analisi d’intelligence procede per domande e risposte. L’accento cade sulle prime. Meglio domande intelligenti e risposte stupide che l’opposto. La risposta sbagliata può essere corretta, la domanda scentrata ti affossa. Le questioni ben poste scremano i dati, aiutano a ordinarli, a delibarne il succo che conta. Occhio però all’eccesso di risposte giuste confermate nel tempo. Inducono pigrizia. Uccidono l’immaginazione, finché shock non ti risvegli.

Intelligenza artificiale, la ricetta dell’Europa

Ai Act, sulle regole per l’intelligenza artificiale raggiunto l’accordo in Europa. Breton: “Momento storico, guideremo la corsa”

L’intelligenza è umana, dunque relativa. Non esiste algoritmo jolly, sempre vincente. Ne sappiamo qualcosa noi occidentali, sorpresi da eventi strategici non previsti né voluti. Su tutti, il suicidio dell’Urss annunciato dall’apertura del Muro di Berlino, attribuita al lapsus di un distratto dirigente del regime locale. Mentre altro non era che il prevedibile punto di flesso nello schema binario della guerra fredda, troppo elegante per concepirne lo strappo fatale. La regola sconsigliava domande fuori sacco. Pericoloso indursi al thinking out of the box, che per l’avventuroso praticante si traduceva in rotture di scatole dentro l’apparato. Sotto questo profilo, il mondo delle spie è rimasto lo stesso.

Il guaio è che dopo le giaculatorie di prammatica ci siamo ficcati in fretta e furia in altra scatola, quella del Washington consensus e della liberaldemocrazia paradigma dell’umanità. La storia è finita. Il mondo è piatto.

Poi scopriamo che il pianeta è pieno di rughe. Si fa beffe delle nostre certezze. E che ad appiattirsi è semmai l’Occidente, precipitato in crisi di senso che ne stravolge la cultura oggi, domani la struttura se non avremo il coraggio di denunciare e combattere la deriva deculturante.

L’intelligenza non abita una monade. E’ ipersensibile all’ambiente, suo liquido amniotico. Quando la cultura degrada, la prima vittima è l’intelligenza collettiva entro cui vive o sopravvive quella speciale branca strumentale che è l’intelligenza di Stato.

La transizione egemonica da un ordine all’altro, fenomeno normalmente (pluri)secolare, stavolta parrebbe verticale. L’America è scossa da crisi identitaria non per assedio di un potenziale successore ma perché questo non esiste. Dal “mondo globale” siamo trascorsi al “Sud globale”. Dalla fantasia d’onnipotenza all’ossimoro irriflesso che d’una parte fa il tutto. Alba di un nuovo surrealismo, purtroppo non artistico ma esistenziale. Il futuro dell’Occidente dipenderà dalla capacità e dall’intenzione di affrontare il crollo dei nostri valori sul mercato mondiale.

La deculturazione dell’Occidente parte dalla vetta: le università americane. Già massimo produttore di cultura, dunque di potenza, dell’ormai disorientato impero a stelle e strisce. Non sono passati troppi anni da quando nel fecondo scambio fra europei e nordamericani germinava il meglio della scienza e della tecnologia, che oggi volge all’Oriente.

Da troppo tempo le cime eccelse dell’Ivy League eruttano ceneri. Distopie difensive quali il politicamente corretto o la cultura della cancellazione schiacciano presente, passato e futuro su tempo unico che per definizione occlude l’avvenire. Dal sovrappiù di utopie siamo precipitati nell’autoflagellazione causa peccati non espiabili, siano razzismo, schiavismo o colonialismo, tutti attribuiti all’uomo bianco occidentale, fisso da Aristotele in poi. Salto tragico. La realtà è totalmente soggettiva. Dunque non è. Che ne facciamo dell’intelligenza, di qualsiasi intelligenza, in questo girone di recriminazioni? Soprattutto, si può surrogarla con modelli matematici, che trattano i conflitti e la politica con metodo “scientifico”? Non crediamo.

Gli algoritmi tratti da modelli incorporano le preferenze di chi intende servirsene. Né coprono l’inquantificabile che domina le fluide relazioni sociali e marca la frontiera fra Terra del Modello e Terra del Reale, spazi mai coincidenti. Anziché preoccuparci perché l’intelligenza artificiale si avvicina all’intelligenza umana, converrebbe evitare che la nostra intelligenza scada al grado artificiale. Seccamente inferiore.

Restiamo a Leopardi, per cui follia trionfa “se, più de’ carmi, il computar s’ascolta”.

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