Dennis Ross: “Hamas non si può sradicare perché è un’idea. Ma si può smilitarizzare Gaza”

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TEL AVIV – Quando l’aneddoto è buono, spiega meglio di un trattato. E di aneddoti buoni sul conflitto israelo-palestinese il 75 enne Dennis Ross ne ha parecchi, non foss’altro perché per conto della Casa Bianca se n’è occupato per trent’anni: direttore della Pianificazione politica estera per Bush senior, coordinatore speciale in Medio Oriente per Clinton, special advisor su Iran e Golfo Persico per Obama. Ora è condirettore del Jewish People Policy Institute. E questo è l’aneddoto con cui inizia l’intervista a Repubblica.

“Sei mesi prima che venisse assassinato, Yitzhak Rabin mi chiama e mi chiede chi, a mio parere, avrebbe avuto un peso determinante nelle elezioni del 1996. Gli feci il nome di un politico, e lui ‘no’. Provai un altro nome, e lui ‘no’. Allora chi, gli chiesi. E lui: ‘Hamas’. Disse: ‘due bombe di Hamas e gli israeliani voteranno Netanyahu, non me’. Prima del voto esplosero quattro bombe di Hamas…”
…e Netanyahu vinse le elezioni.

“Il punto è che chi è più attrezzato per fare la pace perché moderato e pragmatico, viene tagliato fuori dagli estremisti. Oggi in Israele l’emergenza sono Smotrich e Ben-Gvir, ministri messianici e nazionalisti. Non vivono nella realtà, non tollerano niente della controparte e vogliono soltanto che i palestinesi se ne vadano altrove. La politica deve tornare a essere dominata dal centro, altrimenti non ci sarà mai la pace”.

Quanto durerà Netanyahu?

“Stiamo per assistere a un grande cambiamento politico in Israele. Il 7 ottobre è stato il giorno più nero della sua storia e la coalizione attuale non è in grado di gestire quel che c’è da fare”.

Cosa c’è da fare?

“Il conflitto tra israeliani e palestinesi, consumati dai rispettivi traumi, è tornato ad essere lotta per l’esistenza, due movimenti nazionali che competono per lo stesso spazio. L’unica soluzione quindi è due stati per due popoli. Ma uno dei due non può essere uno stato fallito. L’Autorità palestinese è corrotta e ha una governance terribile, va riformata perché i palestinesi, da diciotto anni privi di elezioni, non si fidano più”.

Come si fa a riformarla?

“C’è già riuscita in passato. Dopo il 2007, quando l’Autorità e Fatah persero la Striscia a favore di Hamas e la Cisgiordania era nel caos, l’amministrazione Bush convinse Abu Mazen a nominare un primo ministro che facesse pulizia. Fu scelto Salam Fayyad, e per cinque anni l’Anp ha operato in modo diverso, ripristinando sicurezza ed economia. Ecco la strada. Abu Mazen scelga un primo ministro affidabile disposto a fare veramente pulizia all’interno dell’Anp”.

Serviranno anni.

“Sì”

Intanto nella Striscia c’è una guerra che miete migliaia di vittime e non si capisce quale sia la strategia di Netanyahu, a parte il proclama “sradicare Hamas”.

“Non può sradicare Hamas perché non si può sradicare un’idea. Però si può smilitarizzare Gaza. Se Stati Uniti e Israele si concentrassero su questo, attivando in parallelo un meccanismo internazionale per assicurare che i fondi e le donazioni del post-guerra siano impiegate solo per la ricostruzione, arrivare al cessate il fuoco sarebbe più facile. E per Hamas diventerebbe complicato riprendere il controllo della Striscia”.

Il ministro degli esteri italiano ha portato a Netanyahu la proposta dell’Ue: una missione Onu a guida araba. La convince?

“Sì. Ci sono diversi modelli applicabili per l’amministrazione ad interim, l’importante è che siano basati sulla demilitarizzazione e su un piano per la ricostruzione che non porti al riarmo di Hamas”.

E se la Russia ponesse il veto nel Consiglio di sicurezza?

“Con una missione a guida araba e a iniziativa araba, proposta cioè non dall’Occidente ma dai sauditi o da una coalizione di Paesi arabi, russi e cinesi non la bloccheranno”

Che duri quanto?

“Direi 18-24 mesi, poi l’amministrazione di Gaza deve passare all’Autorità palestinese, riunificando Gaza con la Cisgiordania”

Il piano può funzionare anche se Sinwar non dovesse essere catturato?

“Il punto non è tanto Sinwar, quanto Hamas. Non dovrà avere alcuna voce in capitolo e non dovrà controllare niente nella Striscia”.

Mettiamo che al posto di Netanyahu arrivi un premier moderato, e mettiamo che l’Anp riesca a riformarsi, da dove si comincia per realizzare la soluzione dei due stati, due popoli? Nei territori occupati gli insediamenti ebraici sono sempre di più e sempre più violenti.

“Nel 2000 con Clinton lanciammo una proposta. Poiché l’85 per cento degli israeliani in Cisgiordania vive in 55 insediamenti vicini alla Linea Verde, si possono assorbire dentro Israele dando ai palestinesi un’equa compensazione territoriale e smantellando i 75 piccoli insediamenti che invece si trovano lontano dalla Linea Verde”.

Come andò nel 2000?

“Israele era pronto ad accettare, Arafat rifiutò perché ritenne di poter spuntare un accordo migliore. Fu la grande occasione mancata, avremmo avuto un mondo diverso. Invece dopo Camp David abbiamo avuto la seconda Intifada. Quel piano è valido, a patto che Israele reprima duramente i famigerati coloni che si fanno giustizia da soli”.

È una delle tante richieste di Biden che Netanyahu ha rigettato. L’approccio americano non sembra funzionare.

“Non funziona quanto vorrebbe la Casa Bianca. Però è anche vero che se non fosse stato per le pressioni di Biden non ci sarebbe l’assistenza umanitaria a Gaza, perché Netanyahu era convinto che senza aiuti Hamas avrebbe consegnato gli ostaggi”.

Non si vede spesso il potente presidente americano trattato così da un alleato.

“Netanyahu ha il problema di tenere a bada la sua gente, che dopo il 7 ottobre non ha più fiducia in lui. Biden invece deve fare i conti con l’ala più giovane dei Democratici, che sostiene i palestinesi, ma negli Stati Uniti la maggioranza è ancora pro-Israele”.

Può accadere che il governo Usa, di fronte all’intransigenza di Netanyahu, decida di mollare lo Stato ebraico?

“Non con Biden. Ha una connessione emotiva con Israele, ne parla spesso. E’ andato lì a 29 anni da giovane senatore, ha incontrato Golda Meir nel 1973. Le chiese dove trovassero la forza di affrontare tutto, e Golda Meir gli rispose: ‘abbiamo un’arma segreta: non abbiamo altro posto dove andare’. Quella frase lo ha cambiato per sempre”.

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