Geolier: “Non faccio calcoli, sto solo cercando di parlare ai ragazzi”

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Fino al 2019, quando ha pubblicato il suo album d’esordio, era solo Emanuele. Adesso è qualcosa di più importante e complesso: è Geolier, rapper di Secondigliano arrivato sul palco di Sanremo sull’onda del successo del suo secondo album, Il coraggio dei bambini, il più ascoltato del 2023. In realtà Emanuele e Geolier sono una cosa sola, «non faccio differenza tra l’uno e l’altro, mi risulta impossibile vestire una maschera e essere diverso da me stesso. Non so se è un bene o un male, ma io dico sempre che lavoro per Geolier che è davvero un progetto più grande, realizzato con la mia squadra, la mia famiglia. La mia parte di lavoro è scrivere canzoni e metterci la faccia, ma non per questo mi sento diverso da quello che ero quando ero più piccolo». Alla fine della serata delle cover e dei duetti porta a casa il primo gradino del podio – insieme a Guè, Luchè e Gigi D’Alessio – e anche una certa dose di “buu” e fischi dalla platea, che si è divisa sul verdetto.

E Sanremo? Che impatto ha avuto su di lei essere qui in questi giorni?

«So che può sembrare assurdo dire una cosa del genere quando sono qui solo da pochi giorni e per la prima volta, ma mi sta aiutando a maturare come artista e come persona. Qui è tutto diverso, ti fermano per strada, ti chiedono la foto. Ti trattano come un’artista importante, anche quelli che ti fermano e non sanno poi davvero chi sei. Uno mi ha scambiato per un attore, un altro per il mio personal manager…».

Però rispetto alla sua vita di tutti i giorni…

«Vivo a Napoli, capirò cosa mi è successo in questa settimana quando tornerò a casa. Qui è tutto enorme. Ma, ed è questo il bello, l’affetto della gente che incontri è tutto vero».

Napoli lei la sta portando sul palco del Festival con una canzone cantata in napoletano. Cosa rende la sua città così musicale?

«Napoli, è piena d’arte e di contraddizioni, è amore ma è anche odio, è bene e male. Napoli è intrisa di arte, non c’è niente che sia così poetico come la lingua napoletana, nulla di così caldo come l’anima della città, nulla di così intenso come le sue canzoni. A Napoli puoi sempre imparare e scoprire cose nuove. E così nasce la musica».

Gli artisti che l’hanno influenzata?

«I grandi della musica napoletana di ieri e di oggi, i rapper arrivati dall’America. Mi ha influenzato Totò, con i suoi film e con Malafemmena, mi hanno influenzato Mario Merola con la sceneggiata e Nino D’Angelo, così come l’insostituibile Pino Daniele. Ma tutti questi insegnamenti mi sono serviti per una cosa sola: ho pensato prima di tutto ad essere una bella persona».

Arrivare al successo richiede impegno. Ma anche pianificazione o progetto?

«No, non c’è stato nessun progetto. Io e i miei amici abbiamo fatto e basta, acceso la macchina e iniziato a correre. E corriamo ancora».

Dice che vuole rappresentare i ragazzi. Come si fa?

«Devi essere come loro. Sono, penso, vivo come loro. È anche una questione generazionale, ovviamente. Ma il problema grosso è che i ragazzi oggi non si rispecchiamo più nella politica, nella religione, le vedono troppo lontane, quindi credono negli artisti, magari negli sportivi. Per rappresentare qualcuno devi ascoltarlo e ci devi parlare. È quello che cerco di fare».

Qual è la cosa migliore che le è accaduta?

«Incontrare la musica. Ero piccolo, ballavo Michael Jackson e la break dance. Quando ho cominciato a capirla avevo dieci anni…».

Ora il 23enne Geolier cosa vuole?

«Durare. Non ho mai pensato di conquistare un altro disco di platino dopo il primo, è successo e va bene, ma in quest’epoca dove tutto è veloce, non si ascolta ma si guarda, vorrei poter aiutare i ragazzi come con me hanno fatto la musica dei Co’ Sang, o quella di Pino Daniele. Non mi sto paragonando a loro, ci mancherebbe: ma spero di restare nella cultura della mia città».

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