“Diabolik? Senza Eva sarebbe un automa”

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In una sala gremita di pubblico, dopo lo scoppiettante monologo di Bergonzoni, fa ingresso nell’Arena Robinson il “dinamico duo “ (per restare legati a una terminologia legata al fumetto) dei favolosi Manetti Bros per presentare il terzo capitolo della loro versione di Diabolik. Nel backstage hanno scherzato incontrandosi: “Come facciamo adesso?”. La realtà è che si respira un’atmosfera di grande divertimento e rilassatezza in cui è bello vedere susseguirsi e incrociarsi i personaggi più diversi: alla fine arriverà anche Zoro a fare un saluto a completare un quadro che più variegato non si può. A condurre l’incontro Dario Pappalardo di Robinson, che inizia raccontando quell’Italia che all’inizio degli anni 60, dopo il grande boom economico inizia a mostrare le prime crepe. A raccontare queste crepe, facendo un controcanto impietoso, alcuni autori come Luciano Bianciardi con la sua Vita agra ma anche due sorelle insospettabili, Angela e Luciana Giussani con un fumetto completamente fuori dagli schema del tempo dove il protagonista era un cattivo: Diabolik.

‘Diabolik chi sei?’, ultimo capitolo della trilogia dei Manetti bros.: il Re del terrore rivela a Ginko le sue origini

Le Giussani raccontavano un mondo completamento diverso da quello rappresentato dalla pubblicità e dai media del tempo del tempo e Diabolik ebbe un immediato successo tanto che subito il cinema cercò di appropriarsene con il grande regista di horror Mario Bava che fece l’azzardo di farne un film dandogli un contesto completamente diverso dal sapore piuttosto folle se non addirittura psichedelico. Pare che le sorelle fossero uscite disgustate dal cinema dopo averlo visto dicendo: “Mai più!”. Una maledizione durata decennni finché, racccontano i Manetti, “Dopo aver partecipato assieme a Mario Gomboli, direttore della casa editrice Astorina fondata dalle Giussani, a una giuria per scegliere i migliori fumetti dell’anno al Napoli Comicon, non decidemmo, a, nostro ritorno, di sottoporgli una sceneggiatura. Erano solo cinque pagine. All’inizio lui non sembrava molto possibilista ma dopo averle lette ci disse: ‘Erano le cinque pagine che aspettavo da molti anni e che nessuno mi aveva mai mandato’”. E così nacque finalmente la possibilità di rompere l’anatema delle Giussani e di riuscire a farne un film. Anzi tre.

Diabolik chi sei? è quello che conclude la trilogia e secondo molti è anche il migliore della serie: “A noi questo che sembra un complimento, da un lato un po’ dispiace perché siamo molto affezionati anche agli altri però mentre parliamo mi rendo conto che però in effetti è un upgrade” dice Marco Manetti, “nel senso che di solito le cose vanno a scendere mentre se questo film viene da molti che lo stanno dicendo, considerato come il migliore, vuol dire che le cose qui invece sono in salita. E non è una cosa da poco”.

E quindi chi è Diabolik? “La risposta non è scontata” dice Antonio Manetti. “Noi stessi abbiamo scoperto nel tempo che in realtà Diabolik prende forma e si definisce solamente grazie a Eva. Le sorelle Giussani non erano femministe nelle forme ma lo erano nei fatti: in questo capitolo a dominare sono Eva e Altea che non sono semplicemente le “donne di Diabolik e dell’ispettore Ginko ma le vere protagoniste del film”. Aggiunge Marco: “All’inizio, nei primi due numeri del fumetto, Diabolik è un cattivo a senso unico, è solo dal numero tre che acquista uno spessore diverso e questo succede perché incontra Eva. Quindi potremmo dire che Diabolik si definisce solo grazie a Eva: è attraverso lei che conosce e capisce meglio il mondo e sé stesso ed è sempre lei che gli salva la vita a partire dal primo film. E in Diabolik chi sei? sono le due donne a salvare i due uomini. Questo è un piccolo tradimento del testo perché nella storia originale non era proprio così, ma non è una forzatura: a volte bisogna tradire per essere fedeli. Perché il senso è assolutamente questo: prima Diabolik era solo una specie di automa. Potremmo dire che è quindi solo attraverso una donna che Diabolik diventa sé stesso: ed è questo il senso profondo del femminismo delle Giussani, molto più radicale di quanto possa sembrare a prima vista”.

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