L’Ue dice sì all’Ucraina, ma ora è da rifare: dall’agricoltura al bilancio fino alle decisioni all’unanimità

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Scenario catastrofico: nel 2030 l’Unione europea conterà 35 partner, solo per l’Ucraina avrà speso circa 200 miliardi di euro, non sarà in grado di prendere una singola decisione in quanto trovare l’unanimità sarà impossibile, avrà larghe fette di popolazione scontenta poiché Kiev e i nuovi soci avranno drenato tutte le risorse continentali per la politica agricola e per quella di sviluppo. E confinerà con la Russia, con la Clausola di solidarietà collettiva pronta a scattare, ovvero l’obbligo per tutti i soci europei di entrare in guerra per difendere un partner in caso di attacco esterno. Non solo senza una vera politica Estera e di Difesa comune, ma anche con il rischio di un effetto a catena che coinvolga la Nato.

Da ieri sera questo è lo scenario di immobilismo e fragilità che le autocrazie in giro per il mondo augurano all’Unione. Per evitarlo servono profonde riforme in Europa. E una classe politica dotata di leader capaci di guardare avanti di diverse generazioni nello scriverle. L’ingresso dell’Ucraina nella Ue infatti può essere paragonato alla caduta del muro di Berlino che portò con sé Maastricht, la nascita dell’Unione come oggi la conosciamo, l’arrivo dell’euro e l’allargamento a Est del 2004. Allora l’Europa si riunì. Oggi deve entrare nella dimensione geopolitica globale. O perirà.

Ma andiamo con ordine. Nelle segrete stanze, a Kiev è stato promesso l’ingresso effettivo nell’Unione nel 2030. Pochi credono che sarà possibile. Potrebbe volerci di più. Ma c’è un altro scenario: che l’Ucraina – e non è da escludere – faccia la fine della Turchia, eterna candidata delusa.

Dal punto di vista tecnico ora il primo passaggio per il negoziato di adesione ora spetta alla Commissione Ue, che deve fare un ciclopico screening di tutta la legislazione ucraina per verificare i punti in cui non è compatibile con quella europea (acquis comunitario). Basti pensare che ad oggi Kiev si è limitata a ridisegnare la Corte costituzionale, la cui indipendenza è la premessa per una democrazia compiuta, a dare garanzie sulle minoranze linguistiche e ad avviare una (caotica e insufficiente) lotta alla corruzione. Il resto della legislazione va rifatto. Un lavoro titanico dal punto di vista burocratico, politico e legislativo interno allo Stato ucraino, sotto le bombe. Di fatto il totale rifacimento dello Stato.

Ma non meno epocale è quanto spetta fare all’Unione europea per evitare di affondare sotto il peso dell’Ucraina, un paese da ricostruire dopo l’aggressione armata di Putin, e delle altre 7 nazioni che porterà con sé (impossibile tenerle fuori se Kiev entrerà visto che aspettano da anni): Balcani, Moldavia e Georgia.

Primo, crollerà la Politica agricola europea, storicamente prima voce del bilancio Ue, fondamentale per la tenuta politica e sociale del continente. Ebbene, solo all’Ucraina spetterebbero 95 miliardi di euro, con un taglio del 20% dei sussidi agli altri Paesi. Kiev potrebbe poi incassare 61 miliardi dai fondi di coesione, quelli per le infrastrutture e lo sviluppo. In definitiva, la stragrande maggioranza dei soci europei, da beneficiari del bilancio Ue finirebbero a essere contributori netti (ovvero incasserebbero da Bruxelles meno di quanto versano). Tanto basta per far saltare tutti gli equilibri.

Per questa ragione la Pac e i fondi di coesione andrebbero totalmente riformati. Come? Innanzitutto allargando il bilancio europeo, perché dedicare ad esso solo l’1% del Pil dei singoli Stati (1.000 miliardi circa per ogni esercizio di bilancio di 7 anni) non basterà più. Un’impresa, se si considera che a ogni negoziato sul bilancio per poche centinaia di milioni di differenza i leader passano intere notti a litigare. Come avvenuto ieri, quando dovevano trovare 50 miliardi per sostenere nell’immediato l’economia di Kiev devastata dalla guerra. Insomma, tutti i leader europei dovranno accettare di spendere molti soldi e di riscrivere i criteri con i quali vengono distribuiti.

C’è poi la dimensione istituzionale dell’Unione, in quanto, come segnalato per primo da Macron, se già oggi prendere decisioni all’unanimità è un’impresa, in 35, con sensibilità e culture politiche ancora più variegate, sarà impossibile. L’Europa dovrà farsi trovare pronta, riformare i suoi trattati per non sprofondare nell’immobilismo in un mondo che si preannuncia sempre più pericoloso. Una sfida alla quale i leader storicamente cercano di scappare nel timore del più classico dei vasi di Pandora con infiniti litigi su ogni virgola dei nuovi testi europei.

Sarà necessario dunque cancellare le decisioni all’unanimità, ovvero il diritto di veto per ogni capitale, inserire la maggioranza in politica estera visto le sfide geostrategiche alle quali l’Unione va incontro allargandosi verso l’Asia. E poi servirà la maggioranza sulla Difesa, nonché sul Fisco, Salute, Ambiente e gli altri principale settori della politica comune. In definitiva, dovrà scegliere a che modello affidarsi. A un’Europa sempre più federale, dove la maggioranza decide e si va avanti tutti insieme affidandosi a Bruxelles? Oppure a un’Unione a diverse velocità o a cerchi concentrici, con i singoli Paesi che decidono materia per materia in quale settore approfondire l’integrazione e in quale restare fuori (come oggi avviene per l’euro)?

Insomma, definire “storica” la giornata di ieri con la decisione su Kiev rischia di non rendere l’idea della sfida epocale ed esistenziale imboccata dagli europei. La cosa più immediata da dire è che ora l’Europa deve diventare adulta.

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