Teste di calcio

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Tra una manciata di settimane, i giocatori della Nazionale troveranno un insolito regalo sotto l’albero. E c’è davvero bisogno di doni belli, in questa triste tempesta azzurra, dopo questi giorni quasi irreali. Il regalo glielo consegnerà Luciano Spalletti, il commissario tecnico, e non sarà l’ultimo modello di smartphone (per carità, con quelli si resta sempre connessi anche con i siti di scommesse online), né un aggeggio capace di trasformare l’intelligenza artificiale in intelligenza naturale (non l’hanno ancora inventato). Sarà, invece, un libro di carta, oggetto antico e un po’ desueto in questo nostro vorticoso universo digitale. Il titolo è di quelli che non passano inosservati: Niente teste di c…o (Mondadori). Lo ha scritto James Kerr, autore di bestseller e consulente motivazionale: ha lavorato con aziende di livello mondiale, con l’esercito britannico, nell’America’s Cup, in Premier League e per la Formula 1, e in quest’opera analizza i meccanismi che hanno portato gli All Blacks, la leggendaria squadra di rugby neozelandese, ad essere un punto di riferimento assoluto non solo nello sport per quanto riguarda l’idea di gruppo.

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Dai mitici “tutti neri” della palla ovale ai nostri azzurri un po’ pallidi e all’inizio dell’avventura con il nuovo ct, una trasfusione di ottimi concetti può dare un po’ di ossigeno. Il libro, che nell’edizione originale si intitola “Legacy” e cioè “Eredità”, con maggiore eleganza ma forse minore impatto rispetto al titolo italiano, illustra una serie di situazioni in cui si passa dal famoso Io al più produttivo Noi. Colpiscono alcune scene, come quella degli omoni neozelandesi che si armano di secchio e ramazza e puliscono da sé lo spogliatoio dopo ogni partita: “Nessuno si prende cura degli All Blacks se non gli All Blacks”, scrive Kerr.

La Nazionale di calcio è quella cosa un po’ strana e magica, sempre sospesa tra delirio e imbarazzo, un luogo dove sono tutti tifosi ma nessuno lo è veramente, perché manca il succo a volte velenoso del campanile. La si ama ai Mondiali (quando ci arrivavamo) e agli Europei, ma i club la vivono come un fastidio, quasi come un ingombro nel calendario. I giocatori in azzurro possono farsi male, sono un capitale prezioso e fragile, ma vuol mettere il senso di identificazione che regala quella maglia?

Luciano Spalletti, in queste prime settimane di panchina ha detto e fatto alcune cose molto belle, molto coinvolgenti. “I giocatori che vengono qui con noi li considero creature speciali”: si pensa all’essere speciale cantato da Battiato ne La cura, e infatti anche qui si tratterebbe di prendersi cura di qualcuno, di qualcosa, qualcosa di importante. Oltre la retorica dei nazionalismi, dei vessilli e dei simboli, che pure una valenza assoluta la possiedono e non solo a livello di storia o memoria, c’è davvero bisogno che la Nazionale diventi un bene comune, e questo si può ottenere anche grazie a una lenta, tenace e convinta ricostruzione mentale, emotiva e percettiva di quanto il “Club Italia” rappresenti. I giocatori sono i primi a dover incarnare questo sentimento, che dev’essere anche una trasmissione di valori.

Lungi da quegli atteggiamenti da sergente istruttore dei marines – non è di questo che ha bisogno lo sport, non di superominismo vagamente destrorso – pensiamo che Spalletti abbia capito come gli atteggiamenti siano il preludio delle tattiche, o forse già ne rappresentino la sostanza. James Kerr, nuovo nume tutelare azzurro, scrive che gli All Blacks sono la prova di come il carattere trionfi sul talento. Non due nemici in battaglia, ma un capitano (il carattere) e un gregario (il talento). Di solito li immaginiamo sempre a parti invertite, come se la classe e il tocco calassero dall’alto e bastassero per realizzare ogni impresa. La famosa ispirazione: che secondo Philip Roth rappresenta solo il 10 per cento delle qualità di uno scrittore (l’idea vale non solo in letteratura), mentre il restante 90 per cento è traspirazione, cioè sudore, cioè lavoro. Come lo si affronta dipende, appunto, dal carattere.

E allora vogliamo immaginarle proprio così, le speciali creature di Spalletti: nel loro lettino o in poltrona, con la luce di una lampada puntata sulle bianche pagine di un libro. Per capire chi sono e chi potrebbero diventare. La vera eredità (legacy) di ogni gruppo è anche saper isolare le “teste di c…o”. Compresa quella che a volte abita dentro di noi.

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