Arresto Visco Jr, i messaggi cifrati agli amici: “Portatemi subito la pasta poi fatemi promuovere”

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Il punto di partenza è l’indagine per corruzione e traffico di influenza che ha portato due imprenditori, un avvocato e il figlio di un ex ministro agli arresti domiciliari. Quello di arrivo è un viaggio in un mondo di favori, relazioni, promesse e millanterie dove i nomi dei vertici delle istituzioni italiane vengono spesi per ingraziarsi i favori dell’amico di turno. E l’amico di turno, in questo caso, si chiama Gabriele Visco. Il cinquantaduenne non è solo un ex dirigente di Invitalia in grado di aiutare gli amici imprenditori ad aggiudicarsi appalti pubblici, ma anche il figlio di Vincenzo Visco, ex ministro dell’economia ai tempi dei governi Prodi e D’Alema.

Ed è qui, tra i corridoi dei ministeri un tempo solcati dal padre, che il rampollo della famiglia Visco, ricordato per una fulminea carriera nella partecipata controllata da via XX Settembre, sperava che qualcuno si muovesse per assicurargli un futuro ancora più roseo in Invitalia.

Politici, funzionari e anche qualche prelato. Tutti potevano essere scomodati per gli interessi di Visco jr, per fare in modo che l’ex dirigente continuasse a essere una sorta di gallina dalle uova d’oro per i costruttori a lui vicino. O almeno è questo quello che raccontano gli indagati al telefono.

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Lui, Visco, diceva agli amici «di portargli la pasta», le mazzette, che non si sentiva «adeguatamente valorizzato in Invitala» e aspirava «a una posizione di dirigente apicale». La soluzione era semplice: «Chiama Mattarella (e digli, ndr), guarda Visco deve esse promosso», dice l’ex dirigente al telefono. Il desiderio è chiaro: occorreva fare pressioni su Bernardo Mattarella, l’ad di Invitalia, il nipote del presidente della Repubblica.

Ovviamente l’impresa non è riuscita. Dall’ordinanza di custodia cautelare non emerge che Mattarella sia stato contattato. Anzi Visco è stato anche allontanato da Invitalia, «a inizio 2023», fanno sapere dall’agenzia spiegando di essere a disposizione degli inquirenti e valutando «ogni possibile azione al fine di tutelare la propria posizione come parte lesa».

Ma «neppure il licenziamento — scrive la gip di Roma Maria Gaspari nell’ordinanza — mina la sua capacità di proseguire nelle attività illecite». Anche perché gli imprenditori indagati avevano giurato fedeltà al figlio dell’ex ministro. Uno su tutti: Pierluigi Fioretti. Perché l’indagato non è solo l’amministratore della CCI Costruttori Italiani Srl. È prima di tutto un politico, o almeno lo è stato. Cresciuto tra ranghi del Fronte della Gioventù degli anni ’70, è poi arrivato ai vertici delle sedi romane di Alleanza Nazionale, riuscendo a piazzarsi nelle Asl della capitale, tra i corridoi della commissione dell’Ufficio Provinciale del lavoro, all’apice del Cotral e nei consigli comunali della giunta guidata dall’allora sindaco Gianni Alemanno.

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Ed è proprio a un vecchio amico come Alemanno che Fioretti si rivolge per chiedere un aiuto «affinché interceda con il ministro per il Sud e delle Politiche del Mare (ora ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare), il senatore Sebastiano Musumeci (detto Nello) nell’ottica di sostenere, sotto il profilo lavorativo, la posizione di alcuni amici di Gabriele Visco, a quanto pare in organico a tale dicastero», dicono le carte. Fioretti chiama e Alemanno risponde: «Chiede delucidazioni in ordine alla persona di Visco». La risposta di Fioretti è tanto eloquente quanto sintetica: «quel direttore di Invitalia… quello che mi sta a fa avè i soldi», esclama.

L’impegno di Fioretti nei confronti di Visco è importante. All’ex dirigente promette infatti che si sarebbe interessato «attraverso politici di sua conoscenza, vantando quest’ultimo un rapporto con persone che lavorano a fianco del ministro. Viene fatto il nome di Federico Eichberg o sottosegretari quali il senatore Claudio Barbaro del Mase, al fine di fare pressioni sull’ad Mattarella e far ottenere una promozione al Visco», annota la Guardia di finanza.

Nel gennaio 2023 la situazione è difficile. Visco spiega che c’è «tensione» e chiede agli amici: «se potete fare due telefonate a qualcuno che alza il telefono… chiama il mio amministratore… guardate Gabriele è bravo». «Visco evidenzia — continuano gli atti — che se non riesce a fare carriera non riuscirà ad essere funzionale agli interessi degli imprenditori e per realizzare la promessa fatta». È a questo punto che «Fioretti attiva le sue conoscenze anche in ambito ecclesiastico». Dagli appalti ai piccoli favori, come quando Visco chiedeva alla collega «se gli potevo portare le soppressate, la ’nduia e la salsiccia» da Catanzaro. Realtà diverse che evidenziano solo una cosa: un «modus operandi di tutti gli indagati, disponibili a ogni forma di compromesso… il loro modo di operare, caratterizzato dalla completa noncuranza degli interessi pubblici violati».

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