Poche assunte con gli incentivi. La parità sul lavoro è un sogno

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ROMA — Un Paese più che sonnambulo, come dice il Censis, immobile. Quando si parla di occupazione femminile la percentuale non si schioda dall’ormai strutturale divario con gli uomini: 40-60. Che significa 40% di occupate sul totale di chi lavora in Italia a fronte dell’ormai consolidato 60% maschile.

Gender gap. La parità è un sogno ancora lontano

Pochi contratti e doppiamente precari

Ebbene l’Inapp – l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – conferma che la parità 50-50 rimane un sogno anche se andiamo a guardare i contratti incentivati dai vari bonus pubblici erogati in questi anni. Solo nel 40,9% dei casi, per stare al 2022, l’impresa assume una donna. E quando lo fa, le impone contratti a termine o in somministrazione. E di solito in part-time forzato, come regola di ingaggio oramai tristemente diffusa.

I dati verranno presentati giovedì alla Camera nel Rapporto annuale che il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda illustrerà anche alla ministra del Lavoro Marina Calderone. E sono disarmanti.

Gli sgravi sulle assunzioni per le imprese

L’anno scorso su 8 milioni di contratti di lavoro attivati in Italia quasi 2 milioni (il 23,7%) hanno beneficiato di una qualche forma di decontribuzione, ovvero di uno sconto sul costo del lavoro: un dato molto basso, se si pensa ai miliardi stanziati per gli incentivi. ?

Inapp riprende la classificazione Inps e analizza i vari “bonus assunzioni” vigenti: apprendistato, decontribuzione Sud, due incentivi per i giovani under 36, altri due per le donne, l’esonero per gli stagionali del turismo e altri minori. Ebbene, non solo in generale i contratti trainati dagli “sconti” sono solo uno su quattro, ma di questi quelli che favoriscono le donne arrivano ad appena quattro su dieci.

La parità è un obiettivo mancato

Paradossalmente, la percentuale di donne assunte senza incentivi – pur essendo ancora insufficiente – resta sopra quella delle lavoratrici ingaggiate con gli incentivi: 42,7% contro 40,9%. Quasi tre punti di differenza. «Nonostante la pluralità di incentivi a disposizione, nessuno di questi riesce ad attivare posti di lavoro a favore di donne almeno per la metà», scrivono i ricercatori Inapp.

«La composizione e il relativo squilibrio di genere restano immutati, a conferma di divari sostanzialmente impermeabili a misure di tipo congiunturale». La durata dei contratti e l’orario ridotto rappresentano poi «due indicatori di debolezza del mercato del lavoro che presentano una forte connotazione di genere». A lavorare poche ore in contratti due volte precari – a termine e a part-time – sono soprattutto le donne. Dei due milioni di contratti “agevolati” nel 2022 ben 820 mila erano a part-time (43%). Di questi quasi sei su dieci – 457 mila – riservati alle donne.

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Il bonus donne per due terzi a part-time

Il picco del paradosso è nei contratti incentivati da quello che si chiama “esonero donne”: per due terzi si tratta di part-time. L’incentivo non è mirato e va anche alle assunzioni a tempo e a orario ridotto, le più gettonate. Ma anche nei contratti con “esonero giovani” solo un uomo su tre è a part-time contro più della metà delle donne.

Il gender pension gap

«Lo scenario offerto fotografa per le donne una consolidata crescita del lavoro a termine e discontinuo, la cristalizzazione della nota specificità femminile del tempo parziale», si legge ancora nel Rapporto Inapp. Questo comporta «una ridotta autonomia economica» per le donne che incide poi sulle scelte di vita e maternità. La conclusione dell’Inapp è lapidaria: «Il modello a partecipazione fragile, discontinua e con bassi redditi trasformerà l’attuale gender pay gap in un gender pension gap».

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