La lettera di addio trovata in stanza e i sette giorni chiusa in camera di Rossella Cominotti, uccisa dal marito: “Non mi sento bene”

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«Non sto bene, ho l’influenza. Dobbiamo rinviare il check-out». Per giorni la 53enne Rossella Cominotti ripete le stesse parole al telefono della reception dell’albergo-ristorante Antica Locanda Luigina, val di Vara.

Liguria di levante, non lontano dal mare delle Cinque Terre. Qui, in frazione Mattarana, sulla statale tutta curve amata dai motociclisti, alle 8 di un giorno dell’Immacolata freddo e nebbioso il marito 57enne Alfredo Zenucchi scende al bar: «Un caffè corretto».

Poi esce, pronto a lasciare la struttura con la moglie: «Intanto vado ad accendere la macchina», dice al personale. Una volta messo in moto, parte da solo. Forse vuole trovare un posto dove farla finita, come più tardi racconterà ai carabinieri. Forse vuole solo fuggire.

Perché nel frattempo una dipendente dell’albergo, vedendo la porta della stanza socchiusa e non sentendo risposte dall’interno, guarda dentro: Rossella riversa nel letto, un taglio netto lungo la gola. Sul letto, un rasoio a mano libera. Così, dopo una telefonata sotto shock della titolare, arrivano i carabinieri agli ordini del maggiore Marco Di Iesu. Poi il medico legale.

La pm di turno Elisa Loris, che ora dopo ora aggiorna il procuratore capo Antonio Patrono. La caccia all’uomo si interrompe dopo cinque ore quando ormai Alfredo Zenucchi si è messo alle spalle la Liguria ed è in Toscana.

Ai militari al posto di blocco, l’uomo dice: «Dovevo farla finita anche io, dovevamo ucciderci insieme». Concetto ribadito più tardi alla pm: «Volevamo farla finita. Prima dovevo uccidere lei, poi mi sarei suicidato. Ma alla fine non ce l’ho fatta».

Se è vero che si tratta della versione dei fatti di un assassino, c’è un documento che non sembra contraddirlo: una lettera di addio, scritta da una mano ritenuta femminile, ritrovata dagli inquirenti e ora al vaglio. Intanto, l’uomo è accusato di omicidio volontario.

Ancora una volta, anche se chi ha tolto la vita sostiene ci fosse un tragico progetto comune di farla finita, pur non spiegandone i motivi, qualcuno aveva lanciato un allarme. Perché i due coniugi, sposati dallo scorso 9 marzo, lo scorso 27 novembre avevano lasciato un cartello sull’edicola che gestivano da circa un anno a Bonemerse, paesino in provincia di Cremona: «Oggi chiudiamo alle 16.30».

Da allora le saracinesche sono rimaste abbassate, i giornali consegnati ogni mattino, accatastati. I cellulari rimasti spenti, altro elemento che fa ritenere agli investigatori come forse non volessero davvero essere trovati.

La cugina della donna, proprio il giorno prima del delitto, aveva diffuso un messaggio su Facebook: «I telefoni non ricevono più chiamate e neanche WhatsApp funziona». Emergono, ora dopo ora, frammenti di una vita non facile.

I due nei loro dieci giorni di fuga hanno comunque lasciato tracce. Ci sono le registrazioni presso gli alberghi in cui hanno soggiornato, compresa la Locanda Luigina, dove sono arrivati venerdì primo dicembre. Lei da quella stanza non è uscita nemmeno per andare a mangiare. Sembra assurdo, e invece dall’hotel spiegano che «dopo il Covid succede sempre più spesso che i clienti non vogliano neppure che si pulisca la stanza. Ormai ne vediamo di ogni tipo».

Lui invece si vede abbastanza spesso, prende le sigarette, ordina qualcosa, poi risale in camera. Nella notte, assicurano, nessuno ha sentito urla o rumori sospetti.

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