Venezia 78. ‘America Latina’ dei fratelli D’Innocenzo: “Una storia di fantasmi e di sentimenti”

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Dopo due soli film, La terra dell’abbastanza e Favolacce (premiatissimi), i gemelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, arrivano in concorso alla Mostra del cinema, con America Latina. A 33 anni, tra le voci più giovani del cinema italiano, i fratelli mettono al centro del racconto il dentista Massimo, un uomo che ha uno studio avviato, una grande casa, una famiglia che lo ama: la moglie e due figlie bellissime, i cani che lo accolgono all’arrivo a casa, un amico col quale passa serate alcoliche. Sotto questa immagine di perfezione c’è una frattura, nel seminterrato della grande villa c’è qualcosa di assurdo che non può più nascondere.

Venezia 78. I fratelli D’Innocenzo: “Elio Germano è il nostro terzo gemello. Quello carino”

È un thriller dei sentimenti quello dei D’Innocenzo, sebbene dicano di mal sopportare le definizioni di genere e ne parlino come “un film misterioso che ha pezzi di vetri thriller, horror, ma anche qualcosa di dolce. Una storia di fantasmi e di sentimenti che tira in ballo l’amore inteso non solo come quello tra uomo e donna, ma amore familiare, platonico, sanguigno”. Al centro di tutto c’è Massimo, interpretato dal sempre bravo Elio Germano, che per i fratelli “è – con un’iperbole – quello che siamo noi a livello di vulnerabilità, di sbagli, di negazione della nostra realtà”. A Germano (con cui avevano già girato Favolacce) hanno affidato “un vestito largo per il personaggio di Massimo ed Elio è stato bravo a dare piccoli segni ma molto significativi, perché per noi il cinema deve essere scarnificato per arrivare al simbolo”.

Il pubblico però, che lo vedrà in sala a partire dal 25 novembre distribuito da Vision, non deve cercare nel film risposte certe perché i D’Innocenzo dicono “come spettatori non amiamo i film che fanno propaganda della felicità. Non li troviamo corrispondenti a quello che abbiamo vissuto e a quello che stiamo vivendo, la nostra idea è infondere dolcezza senza esibirla in faccia allo spettatore, rifuggiamo dagli psicologismi e agiamo in modo istintuale. Vogliamo lasciare libero il dialogo con lo spettatore, alla fine del film non tutto è stato spiegato, compreso e evaso. I nostri film durano solo 90 minuti, come le partite di calcio, ma è il nostro modo per non farli finire, vogliamo che continuino a vivere con gli spettatori”.

(ansa)

Il significato del titolo rimanda a “un bellissimo Frankenstein – spiegano i registi – che unisce l’America che da quando siamo fanciulli rappresenta il sogno, quello che immaginiamo, e Latina quella terra bonificata che è il nostro contatto reale. America Latina è lo sposalizio tra reale e sogno”. ”L’abbiamo scritto a Berlino nel limbo di Favolacce, prima di ricevere il premio al festival nel 2020. È meno bozzettistico, meno frammentario, molto dritto con un personaggio che ci fa vivere la storia, immersiva, dentro la sua mente”. L’emozione di essere in concorso a Venezia non li fa dormire la notte, “ci sentiamo sempre gli ultimi arrivati, ci sentiamo dei ladri che hanno scassato il database di Barbera e si trovano in concorso – scherzano – Non amiamo i titoli a effetto come ‘futurismo italiano’ o ‘il nuovo cinema italiano’, portano sfiga e sono semplificazioni. Quello che possiamo dire è che certe rivalità stantie degli ultimi anni si sono perse. L’altro giorno qui a Venezia abbiamo incontrato Leonardo Di Costanzo un maestro, il suo film non è in concorso ma certo non è meno bello”. Intanto dopo tre film per il cinema nell’immediato futuro dei fratelli c’è una serie tv: “L’abbiamo iniziata e scrivere e proseguiremo dopo l’avventura di America Latina. Il titolo è Dostoevskij ma non fatevi ingannare, non parla dello scrittore”.

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