BigMama: “Le donne non muoiono perché i compagni ascoltano la trap. Chi accusa la musica vede il buco nel muro mentre è la casa che cade a pezzi”

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«Adesso basta». La rapper BigMama, alias Marianna Mammone, classe 2000, avellinese, è diventata una voce importante contro discriminazione, omofobia, bullismo, machismo. Il suo corpo è stato usato contro di lei e violato, oggi se lo è ripreso e lo usa dicendo più di mille parole. L’omicidio di Giulia Cecchettin e tutto ciò che sta scatenando, la «mandano in bestia». Il primo mostro da affrontare è l’argomento in sé: la cultura patriarcale. Un mostro a tante teste. Se ne decapiti una, non lo hai sconfitto. Non serve tagliare i rami, se è marcia la radice. Non è la musica – rap e trap, spesso svilente per le donne, e riportata alla sbarra in questi giorni – ma tutto quello che ci gira intorno: i silenzi che coprono, lo stigma verso chi si espone, il senso di impunità atavico di chi infierisce.

Marianna, perché il femminicidio di Giulia colpisce più di altri?
«A me colpiscono tutti i femminicidi, ognuno in maniera differente. Dietro questo caso però c’è una grandissima personalità che sta parlando chiaro: Elena, la sorella di Giulia. Sta usando la sua tragedia affinché qualcosa cambi davvero. Invece di piangere e basta, si sta spendendo per noi, anche se non tutti la capiscono, e qualcuno addirittura la insulta. Di politica non capisco niente, ma il tweet del consigliere che tenta di screditarla è indegno».

Quanto vive su di sé i problemi di patriarcato e violenza di genere?
«Ho vissuto la violenza del bullismo sin dalle elementari. Nell’immaginario maschilista la donna deve essere magra, ma non troppo, non troppo alta, né troppo bassa. Un canone di bellezza che il mio corpo non ha rispettato. A 13 anni mi hanno tirato pietre mentre passeggiavo. Per quei ragazzini non solo ero donna, quindi da rispettare meno secondo i canoni della loro gerarchia animale, ma per di più ero grassa. A 19 anni un ragazzo della mia residenza universitaria mi ha picchiato in ascensore perché gli avevo detto che, se era omosessuale, con me si poteva confidare. E poi, l’epilogo più triste della mia vita, a 16 anni»

Cosa le è successo?
«Sono stata stuprata da un ragazzo in bagno. All’inizio mi vergognavo, adesso sono stanca. Voglio dirlo perché se non ne parlo, questa storia muore con me. Voglio far capire alle altre donne che parlarne è giusto. A doversi vergognare, è chi ha compiuto gli atti contro di noi. Io non ho fatto niente, se non nascere in questo corpo. È “il pacchetto-donna”: nasci così e devi sottostare. Mi sono scocciata delle prevaricazioni. La storia di Giulia ha cacciato fuori una voglia di rivalsa, tanta rabbia. Quella ragazza stava arrivando dove voleva, ce l’aveva quasi fatta ma il suo uomo no, e le ha tolto la vita. Doveva avere l’alloro in testa, invece ha i fiori sulla bara».

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Lei non parlò della violenza subita?
«No. Temevo che la colpa venisse data a me. Non è che non ho avuto il coraggio di denunciare, non ho avuto il coraggio di riconoscere quanto il fatto fosse gravissimo, perché ero preoccupata per le conseguenze. Mi sono convinta che non era grave, per non affrontarle. Fino ad ora non volevo espormi su questi argomenti, preferivo che la musica parlasse al posto mio».

Ci sono ragazze, fan, che si confidano con lei?
«Conosco tante donne che vengono picchiate dai fidanzati e, dopo i concerti, le ragazze mi scrivono messaggi in cui si raccontano. Sono tante. Le invito a parlare, ma, se non vogliono farlo, riesco a capirle. Il dopo, non viene reso facile».

Il rap è appena stato tirato in ballo da più parti. Testi sessisti, violenti, che perpetuano l’immagine della donna-merce.
«Il rap nasce per descrivere in modo cristallino la realtà che uno vive. Se sono cresciuto in una società profondamente sessista, come possono i miei testi essere tanto diversi? Censurare la realtà senza cambiarla non ha senso. È come preoccuparsi del buco nel muro, quando l’intera casa cade a pezzi».

Non la infastidiscono i testi dei suoi colleghi?
«Se me ne trovo uno davanti, tolgo la canzone. Non gli do il mio tempo né i miei soldi. Nel 2023, se fai discorsi così, per me sei uno sfigato. Questo non vuol dire che vai censurato. Giulia, come altre cento donne quest’anno, non sono morte perché i fidanzati, i padri, i nonni, ascoltavano musica trap, ma perché viviamo in un paese di merda».

Anche il pop è pieno di orecchiabile sessismo, no?
«Esiste in tanti pezzi che canticchiamo. Non sono espliciti come il rap ma fanno trapelare che lui possiede lei, che lei dipende da lui, che il consenso si ignora perché la passione è forte, che il troppo amore giustifica il possesso».

Al Festival di Sanremo con Elodie avete portato la cover di “American Woman”, che è il contrario: un uomo innamorato che si tiene lontano, non chiede l’ultimo appuntamento, non si ostina.
«Un testo paritario, scritto da un uomo. Elodie è bravissima, si merita il successo che ha, eppure i commenti sessisti su di lei abbondano. Perché la donna deve essere pura e casta. Non suora però, altrimenti non fa figli. Dobbiamo essere perfette per gli uomini».

Maria Laura Antonelli

Alcuni artisti stanno lanciando appelli per cominciare a cambiare. Gli uomini possono essere i migliori alleati?
«Questa distinzione fra maschi e femmine è una cosa in stile scuola militare di inizio Novecento. La donna non va protetta, si protegge da sola. Va semplicemente trattata alla pari. Il femminicidio è solo l’apice di un problema. Gli atteggiamenti sono diffusi. Molti degli uomini che si dicono “diversi”, cioè non maschilisti, cosa fanno quando stanno negli spogliatoi dopo la partita di calcetto? Quando un amico commenta o fischia una ragazza? Inizino a correggere quando questi atteggiamenti emergono».

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Lei lo fa?
«Ho tre fratelli maschi e a casa mia faccio sentire la mia voce da sempre. Mio padre viene dalla società in cui se vedi una donna sul macchinone, pensi: chissà che marito ha. E adesso la donna con il macchinone sono io. Ma non ho marito, sono lesbica».

Bisex.
«La mia sessualità è aperta. Ho avuto uomini e quindi dico bisex, ma più vado avanti e più mi pento di questa scelta. Sono felicemente fidanzata con una donna».

Che cosa si può fare da adesso?
«Insegnare agli uomini che ci stanno intorno, dai nonni ai figli. A scuola, a casa, ovunque. Le due parole-chiave sono istruire e parlare, senza più vergogna. Se non siamo noi a farlo, non lo farà nessuno per noi. Io, tramite la mia storia, cerco di far riconoscere il valore della donna. Se il mio compito è mettermi a nudo per aiutare le altre, allora mi spoglino pure».

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