“Mio figlio come Ilaria, detenuto in Romania nel carcere-inferno”

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Celle non più grandi di trenta metri quadri da condividere con altre ventiquattro persone. Un bagno per tutti, o meglio un buco maleodorante nel pavimento, che spesso si intasa, riempiendo la stanza di miasmi. E poi ratti, a decine, ovunque, che contaminano tutto, persino il cibo, ma anche cimici e pulci che infestano i letti. Come Ilaria Salis in Ungheria, in Romania ci sono altri tre italiani — due ragazzi e una ragazza — detenuti in condizioni inumane. «Adesso la Farnesina mi dice che potrebbe fare una nota di accompagnamento alla richiesta di arresti domiciliari. Da dieci mesi chiedo aiuto e si limitano ad allargare le braccia. Avevo anche affittato una casa a Bucarest pur di far uscire mio figlio da lì e mi hanno lasciata sola», sbotta Ornella Matraxia, la madre di uno dei tre ragazzi.

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Lui si chiama Filippo Mosca, ha 29 anni, è di Caltanissetta, e da maggio è detenuto a Porta Alba, una delle carceri romene finite nel mirino del Consiglio d’Europa, che più volte ha bacchettato Bucarest perché nelle carceri, tutte sovraffollate, c’è scarsa assistenza sanitaria, zero attenzione alle patologie psichiatriche, niente attività o progetti, ambienti fatiscenti e lerci. «È esattamente la condizione in cui vive mio figlio adesso», dice la madre, che parla da Londra e si dispera. «Filippo è molto depresso, mi dice che non resisterà ancora molto. Mi ha raccontato che una ragazza si è impiccata qualche giorno fa, che altri cercano di fare lo stesso o si provocano lesioni. Convivo con il terrore che faccia lo stesso o che qualcuno gli faccia del male».

Una settimana fa, o poco più, ha rischiato. È stato aggredito da un compagno di cella con gravi patologie psichiatriche, nel parapiglia che ne è seguito qualcuno ha tirato fuori un coltello. Di quell’aggressione però non c’è traccia nelle carte. «Gli stranieri sono trattati come detenuti di serie B, Filippo mi racconta di continue umiliazioni e vessazioni — dice la madre — E da dieci mesi io non vivo più». Anche perché il figlio ha bisogno di farmaci specifici che non gli vengono forniti al pari dell’assistenza medica, una dieta particolare. Il carcere passa solo una brodaglia indistinta, allo spaccio è possibile comprare solo insaccati e scatolame. E acqua minerale, necessaria perché dai rubinetti esce un liquido giallo. È lo stesso che viene fuori dalle docce, spesso gelide, da fare in orari e per un tempo stabilito dalle guardie. Lo stesso vale per il sonno. «Chi dorme di giorno viene punito. La luce — racconta Matraxia — rimane accesa sempre. Ma è Europa questa? L’ambasciata mi ha detto di essere a conoscenza delle condizioni terrificanti delle carceri, ma di non poter fare niente». «Vedremo cosa dirà la Corte europea», annuncia l’avvocata Armida Decina, che da poco ha iniziato a seguire il caso.

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Fino a qualche tempo fa titolare di un ristorante a Ibiza, in Romania Filippo ci va insieme alla ragazza e a un’altra coppia di amici per il Sunwaves Festival, appuntamento di musica elettronica noto in tutta Europa. Una vacanza che si conclude con un blitz della polizia in albergo. Una conoscente aveva chiesto loro la cortesia di usare l’hotel come destinazione per un pacco che non riusciva a farsi recapitare. Dentro — hanno scoperto dopo — c’erano diverse dosi di droga. Nonostante lei stessa fin dal principio li abbia scagionati, finiscono tutti in arresto. Per 24 ore non possono contattare neanche un legale. Perquisizioni e analisi del cellulare di Filippo hanno esito negativo, contro di lui non c’è niente se non le conversazioni registrate nelle 24 ore di fermo — in assenza di autorizzazione, hanno scoperto troppo tardi i legali — e riportate in maniera fantasiosa. Ma per Filippo e gli altri è arrivata una condanna a 8 anni. «Alla Farnesina hanno riconosciuto che ci sono incongruenze, ma nessuno fa nulla».

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