Patto di Stabilità, Berlino chiede più rigore su deficit e debito e mette all’angolo l’Italia

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BRUXULLES – «Così non basta». La frase che il ministro delle finanze tedesco, Christian Lindner, ha fatto recapitare a tutti gli altri 26 Stati membri dell’Ue, è stata proprio questa. La mediazione sulla riforma del Patto di Stabilità non convince Berlino. Il governo Scholz vuole più garanzie. Sul percorso di rientro dal deficit e soprattutto da quello per il debito. E non ne vuol sentire parlare di “scorporo” di alcune spese strutturali come quelle riguardanti le opere del Pnrr e su cui l’Italia aveva avanzato una precisa richiesta.

Insomma la riunione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin (cui partecipano i ministri dell’Economia dell’Unione) rischia di diventare l’ennesimo insuccesso. Le “vecchie” regole della governance economica europea tra tre settimane torneranno in vigore, ma un’intesa per cambiarle appare ancora molto lontana.

La linea tedesca, che fino a qualche settimana appariva isolata, adesso sta raccogliendo molti più consensi del previsto. Anche la Francia, che ha condotto le trattative fino ad ora facendosi carico anche delle esigenze del nostro Paese, ha iniziato ad accogliere alcune delle istanze di Berlino. Una situazione che ha colto di sorpresa la Commissione europea e che ha soprattutto innervosito l’Italia.

Il titolare dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, non intende accettare l’aut aut di Berlino. E accusa il governo di Scholz di anteporre le esigenze politiche della cosiddetta maggioranza “semaforo” composta da Socialdemoratici, Liberali e Verdi, a quelle dell’intera Europa. E alla necessità di favorire la crescita e non soltanto il rigore dei conti.

In effetti Lindner sembra alzare la voce perchè il suo partito – Liberale – sta tracollando in tutti i sondaggi. L’opinione pubblica tedesca teme che si stiano offrendo troppe concessioni agli “spendaccioni” del Mediterraneo. La Cancelleria sta attraversando una fase complicata. Il “buco” emerso nel bilancio e denunciato dalla loro Corte costituzionale ha mostrato un’immagine del Paese non in linea con la tradizione. Un clima che si sta riflettendo anche su questo negoziato. In particolare su come controllare il deficit e il debito pubblico.

Nelle settimane scorse si era aperto uno spiraglio indicando una procedura, per ridurre questi due parametri, diluita nel tempo. E soprattutto con la previsione di un intervento sul debito solo dopo aver perfezionato il taglio del disavanzo annuale.

Sostanzialmente si prevedeva almeno un quadriennio prima di dover incidere davvero sul debito. Ma adesso sul tavolo i “negoziatori” tedeschi chiedono di comprimere quei quattro anni e soprattutto di indicare un obiettivo più ambizioso sul deficit. Da tenere presente che Berlino aveva già reclamato una sorta di clausola di salvaguardia che imponeva di ridurre il disavanzo al due per cento. Di fatto, rispetto al consueto parametro del 3 per cento nel rapporto deficit-pil, veniva inserito una sorta di “cuscinetto” ulteriore dell’1 per cento. E anche su questo, adesso, la Germania avrebbe messo sul tavolo un’istanza ulteriore escludendo la possibilità di scomputare dal calcolo sia le spese previste nei vari Pnrr sia quelle per la Difesa. Insomma un vero colpo all’Italia e in parte anche alla Francia.

L’esecutivo di Roma non ci sta. «In questo modo – è l’accusa – si fa del male all’Europa». Per Via XX Settembre, inoltre, queste regole sarebbero peggiorative rispetto al “vecchio” Patto. E un pò se la prendono con la presidenza spagnola condizionata dalla candidatura alla presidenza della Bei dell’attuale ministra Calvino: «Siamo pronti a firmare un accordo ma non a queste condizioni. In caso meglio le vecchie regole».

Il vero punto interrogativo riguarda la Francia. La trattativa vera, infatti, si muove lungo la direttrice Parigi-Berlino. E la squadra di Macron non intende rompere con Scholz in nessun modo. L’Eliseo potrebbe fare una specie di “mossa del Cavallo” e accettare le richieste tedesche salvaguardando un percorso morbido di rientro dal deficit. A Parigi sono interessati soprattutto a non stringere la cinghia nei prossimi quattro anni, quando si concluderà l’attuale quinquennio. Non a caso ieri il titolare francese dell’Economia, Le Maire, ha insistito soprattutto sulla necessità di tutelare gli investimenti. Un’idea simile a quella suggerita dall’Italia. Ma solo su questo punto.

L’accordo è in salita. Nessuno può scommettere che venerdì la riunione si chiuda con un esito positivo. È probabile che il nodo si ripresenti al consiglio europeo del 14 dicembre. E che poi slitti a un ulteriore Ecofin a gennaio. Ma i tempi sono stretti. Le modifiche vanno approvate anche in Parlamento e l’ultima seduta plenaria è ad aprile.

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