“Io, vigilante da 5 euro all’ora, guadagno così poco che mi vergogno con gli amici”

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TORINO – «Ai miei amici non racconto nemmeno più di quanto guadagno, quando si parla di lavoro: preferisco tenerlo per me, perché mi vergogno». Giuseppe non è più un ragazzino, fa il suo lavoro ormai da parecchio tempo, ma si ritrova perfettamente rappresentato nella situazione che la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha raccontato nell’aula della Camera, in occasione del dibattito sul salario minimo. «C’è chi guadagna 5 euro all’ora e deve fare tre lavori per campare, come mi hanno raccontato alcuni vigilanti che lavorano all’aeroporto di Torino», aveva detto la segretaria dem.

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Per di più, quei 5 euro sono pure lordi. «È ridicolo, mi viene da piangere — dice ancora Giuseppe — la nostra situazione è grave, ma quel che è peggio è che ce la trasciniamo da tempo, visto che il nostro contratto, ancora una volta, non è stato rinnovato». Otto anni, per la precisione. «E se la cifra era già inadeguata a quei tempi, lo è ancora di più adesso, con l’inflazione che c’è. E pensare che io è da un bel po’ che faccio questo mestiere, quindi ho anche una certa anzianità».

I conti che non tornano, poi, sono soprattutto quelli di casa. Quelli legati a uno stipendio (a volte l’unico) da fare bastare per tutti: «È facile da immaginare: è durissima far quadrare il bilancio in famiglia. Tra i tanti miei colleghi, ci sono in situazioni spesso difficili. Abbiamo figli e, magari, mogli che per anni non sono riuscite a trovare un lavoro. E quindi i pochi soldi che portiamo a casa devono bastare per tutti. Se ci ripenso, non posso dire altro: è stata davvero dura. È sempre dura, anche oggi. Speriamo nel nuovo contratto».

A conti fatti, oggi, si parla di poco più di mille euro al mese. «Forse a qualcuno non interessa nulla della nostra categoria, delle guardie giurate e di chi si occupa di sicurezza», dice ancora Giuseppe. Che all’amarezza personale abbina anche quella per chi fa il suo stesso lavoro. «È un disagio grande — aggiunge — non c’è la volontà di far star bene il personale. Siamo considerati dei numeri. E basta». La situazione impone di sopportare. Ma la pazienza a volte vacilla. «Trovassi un lavoro stabile, uno qualunque, non di quelli che mi prendono per due mesi? Mi spoglio sul posto, lascio la divisa e vado via».

Un gesto che finora non si è verificato. Quel che non manca, in compenso, è lo stress: «Abbiamo tante responsabilità, dobbiamo garantire la sicurezza aerea, molti di noi hanno anche la responsabilità di un’arma. Per un errore andiamo nel penale. Abbiamo la vita della gente sulla coscienza».

E non è semplice nemmeno arrivare a svolgere il mestiere di Giuseppe. «Forse da fuori possiamo sembrare degli sceriffi — ammette — ma non è così: per farsi assumere serve un titolo di studio. Devi avere l’auto, conoscere una lingua straniera. E poi studiare, continuamente: come sono fatti gli esplosivi, anche liquidi, come si possono nascondere, ma anche aggiornarsi sulle nuove armi. Viviamo continuamente sotto esame: ci chiedono professionalità e qualità, ma poi in busta paga non si vede mai».

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