Suicidio assistito, morta in Svizzera Margherita Botto, 74 anni, di Milano: è stata docente di letteratura francese

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Una donna milanese di 74 anni, Margherita Botto, professoressa universitaria di lingua e letteratura francese e stimata traduttrice letteraria, è morta questa mattina in Svizzera, dopo aver avuto accesso al cosiddetto suicidio medicalmente assistito. La donna era affetta da adenocarcinoma al terzo stadio e aveva espresso consapevolmente la volontà di porre fine alla sua vita in modo dignitoso, senza ulteriori sofferenze fisiche e psicologiche. Scriveva così in una lettera alla organizzazione svizzera dove ha potuto ottenere l’aiuto alla morte volontaria: “Le mie speranze di giungere alla guarigione e di poter ritornare ad una qualità della vita non dico soddisfacente, ma almeno accettabile, sono molto ridotte o nulle. Il proseguimento del protocollo di cura mi esporrebbe a ulteriori sofferenze per almeno un anno o più, senza molte probabilità di successo. In questa situazione intendo liberamente ed autonomamente porre fine al protocollo di cure, affrontandone consapevolmente le infauste conseguenze”.

A occuparsi dei rapporti con la clinica svizzera, dell’organizzazione del viaggio e dell’accompagnamento sono stati il fratello, Paolo Botto, insieme a Cinzia Fornero, 52 anni, iscritta all’associazione Soccorso Civile, che fornisce l’assistenza diretta alle persone che hanno deciso di porre fine alle proprie sofferenze all’estero, della quale è presidente e responsabile legale Marco Cappato. Tutti e tre assistiti dall’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, si autodenunceranno domani alle ore 11.15 a Milano, presso i carabinieri della Compagnia Milano “Duomo Principale”, in via Fosse Ardeatine.

È la seconda volta che un familiare di una persona va in Svizzera per porre fine alla propria vita decide di autodenunciarsi assumendosi il rischio di conseguenze penali. L’altro recente caso è stato quello del figlio della romana Sibilla Barbieri, paziente oncologica, morta in Svizzera a inizio novembre. La Procura di Milano in passato ha già chiesto l’archiviazione dell’accusa di aiuto al suicidio per Marco Cappato sui casi di altre due persone accompagnate in Svizzera. Cappato era finito indagato, tra agosto e novembre 2022, per aiuto al suicidio, dopo delle autodenunce, per aver accompagnato per l’ultimo viaggio alla clinica ‘Dignitas’ di Zurigo prima Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro, e poi Romano, 82 anni, ex giornalista e pubblicitario, relegato in un letto da una forma grave di Parkinson. Il gip dovrà decidere se archiviare, disporre nuove indagini o l’imputazione coatta per Cappato.

Per i pm, nel caso il giudice non accogliesse la loro linea (con relativa richiesta di archiviazione), potrebbe mandare di nuovo gli atti alla Consulta, che dovrebbe sciogliere l’ennesimo nodo sul tema. Dopo la nota vicenda di dj Fabo, passata per un processo a Milano e una decisione della Consulta, il suicidio assistito in Italia è legale, quando il malato che ne fa richiesta è affetto da patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Inoltre, deve essere anche tenuto in vita artificialmente da trattamenti di sostegno vitale. Condizione, quest’ultima, che manca nei casi di Elena e Romano.

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