Marco Scatizzi è il presidente della Acoi, l’Associazione dei chirurghi ospedalieri, e lavora a Firenze. Il suo è uno dei settori specialistici più in crisi dal punto di vista degli organici. Sono state tante le astensioni dal lavoro negli anni scorsi ma quella di oggi secondo lui è particolare.
Dottore, lei sciopera?
“Sì, e lo faccio per la prima volta nella mia vita, a 64 anni, perché siamo a rischio estinzione. A parte la questione economica, cioè che guadagniamo sempre meno, adesso con questa manovra è stata introdotta anche la questione delle pensioni tagliate”.
In tanti denunciano il definanziamento della sanità.
“Quello, va riconosciuto, è un problema che viene da lontano, anche se adesso è diventato un’emergenza. Solo durante il Covid, con Conte e Draghi, si era saliti con i finanziamenti per la spesa sanitaria. Prima si stava comunque bassi e ora siamo tornati intorno al 6,4% rispetto al Pil, cioè alcuni punti le percentuali in Francia e Germania”.
Il lavoro negli ospedali oggi è più duro?
“Sì, perché quasi ovunque c’è una sofferenza di personale. C’è una rarefazione dei numeri, è più difficile sostituire chi se ne va e chi resta ha meno possibilità di lavorare in modo tranquillo, cioè di fare bene il suo mestiere”.
Che atteggiamento hanno oggi i giovani medici?
“Sono più disincantati di come eravamo noi. Ci sono ancora quelli che scelgono questo mestiere per passione ma si sentono sotto assedio. Sono minacciati dal contenzioso, che arriva a livelli insopportabili, e sottopagati. I loro coetanei che vanno a lavorare nel privato mettono insieme stipendi molto superiori. Poi c’è la questione della carriera. Non hanno scatti, entrano in servizio e restano fermi anni e anni”.
E i pazienti si accorgono della crisi della sanità?
“Io credo che ancora, come i cittadini che fortunatamente per loro hanno bisogno di cure, non si rendono conto che da qui a 5 anni rischiamo di chiudere gli ospedali a causa della mancanza di figure professionali, come noi chirurghi, i medici di pronto soccorso e gli anestesisti”.
Perché la professione del chirurgo è in crisi?
“I giovani scelgono altre specialità. Quest’anno il 56% dei posti di specializzazione disponibili per lachirurgia non sono stati assegnati”.
Come mai è successo?
“Fare il chirurgo non dà più alcuno status symbol, quel rispetto di una professione molto rischiosa che un tempo ti spingeva a stare nel pubblico, dove ti guadagnavi un riconoscimento sociale. La paga era migliore, tra stipendio e libera professione”.
Adesso l’attività privata in libera professione si fa di meno?
“Dipende un po’ dalla Regione. Comunque per i chirurghi è sempre più difficile trovare tempo per svolgerla, perché siamo molto assorbiti dall’ospedale. Viste le carenze, si fanno guardie, reperibilità, turni faticosissimi e quindi c’è meno spazio per il lavoro privato”.
Visti i problemi denunciati da medici e infermieri, il timore è che l’assistenza nel sistema sanitario stia peggiorando. È vero?
“Non allo stesso modo in tutte le strutture. Mediamente, comunque, ci sono carenze del 15-20% di personale in ospedali in reparti dove sostanzialmente si svolge la stessa quantità di lavoro anni fa, se non di più. È una questione logica: è ovvio che in questo modo il rischio di lavorare peggio aumenta”.
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