L’ultima sfida dei “pirati” del Sankt Pauli: porte chiuse ai procuratori, per i giocatori trattano le famiglie

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Rapporti solo con le famiglie. Il Sankt Pauli seguirà i propri ragazzi partendo dalla base, senza alcun filtro. Una esigenza di interazione diretta con l’ambiente in cui vivono che ha portato ad una scelta: interrompere i rapporti con i procuratori dei calciatori minorenni. Una presa di posizione forte del secondo club di Amburgo, identificazione quasi totale con il territorio del quartiere e fascino che stride con la bacheca, laconica se paragonata a quella regale dei cuginetti dell’Hsv, per intenderci quelli che nel 1983 giocarono un brutto scherzo alla Juve di Platini nella finale della Coppa dei Campioni. La storia ad ogni modo non fa classifica e dopo 9 giornate i pirati – il loro alias – sono davanti a tutti, anche ai ricchi concittadini.
Sogni dunque di una Bundesliga che manca da una dozzina d’anni. In fondo, se li ha realizzati una squadra di una piccola realtà come l’Heidenheim, non si vede perché non li possa cullare il St. Pauli. Il punto comunque è un altro, perché la classifica è solo un tassello di una filosofia piena di sfaccettature. Scelte magari neanche originalissime – in fondo anche il potente Bayern in passato non amava trattare con un noto procuratore – ma sempre drastiche. E quella di un ruolo prioritario verso i ragazzi, anche nella formazione caratteriale, lo è.

Qualcosa di diverso, del resto, le posizioni del St. Pauli lo hanno sempre. E’ stato il primo club a partecipare al gay pride. E’ da tradizione tra i più attivi nel sostegno ai migranti: ha dato vita al Lampedusa St. Pauli, una squadra che accoglie gente dal mondo che soffre di più. Solidarietà che nasce da lontano: tre anni dopo la caduta del muro, dal quartiere partirono in parecchi per dare sostegno alla comunità vietnamita di Rostock presa di mira da folti gruppi di neonazisti. E’ l’assalto al palazzo dei girasoli, raccontato con duro realismo nel film ‘The Truth lies in Rostock”. E ancora, il club ha una radio apposita per i non vedenti che vanno allo stadio, per arricchirne nella maniera il più completa possibile le sensazioni.
Alternativo in tutto, persino nella maniera di stare in campo con quell’incredibile possesso dal basso. Ormai lo fa mezzo mondo, d’accordo, ma l’interpretazione che ne dà Fabian Hurzeler, un trentenne che segue la moda dei tecnici precoci in voga in Germania, è al limite. Quando la palla va a Nikola Vasilj tutti trattengono il fiato, perché il portiere bosniaco non la butta mai e inizia a scambiare con i difensori che gli stanno allineati, a due metri dalla linea di porta. Passaggi orizzontali, spesso cortissimi quanto pericolosi sul pressing feroce degli avversari (non a caso qualche gol beffa è stato incassato), fino a quando la palla esce e arriva finalmente a Jackson Irvine. E’ l’anima tattica della squadra, bel personaggio: australiano con sangue scozzese, una lunga carriera britannica prima dell’approdo in Germania. Capelli lunghi con sfumature artificiali rossicce e un paio di baffi, potrebbe recitare in un film ambientato negli anni settanta. Uno così lo si può incontrare nel mercatino antistante allo stadio, in una miscela di etnie e di oggetti provenienti letteralmente da un’altra epoca.

Pochi metri più in là, ci può stare che i tifosi di casa incrocino quelli ospiti. Screzi abbastanza rari, sia che si tratti di trasfertisti abitudinari o magari occasionali, attratti da una zona con punti iconici. Tipo la piazzetta a forma di disco con musicisti stilizzati. Rappresentano i Beatles: nel 1960 si segnalarono a livello internazionale con una serie di concerti rimasti nella storia proprio in quel di St. Pauli. Che non sarà un quartiere di perbenisti, in fondo è quello a luci rosse, che avrà pure i suoi problemi sociali, ma dove il senso di appartenenza non è moda ma realtà.

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