Ospedali a pezzi e attese infinite. Il conto salato di vent’anni di tagli

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Parte tutto dai soldi. Che possono essere spesi bene o male ma restano la base per assicurare un’assistenza sanitaria di qualità ai cittadini. Purtroppo in Italia è in corso da tempo un definanziamento del sistema pubblico, che con il governo di centrodestra, per sua stessa previsione, è destinato a raggiungere livelli mai visti. A cascata arrivano gli altri problemi. Quelli che riguardano le liste di attesa e la conseguente spinta dei cittadini verso il privato, quelli legati ai problemi strutturali degli ospedali e pure quelli di organico.

Sempre meno fondi

A finanziare le cure è il Fondo sanitario nazionale. Se si guarda solo quello (nel 2024 è di circa 134 miliardi) si osserva un aumento di anno in anno e non si comprende la situazione. La Corte dei Conti, nella nuova “relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali”, valuta invece il rapporto tra spesa sanitaria e Pil. L’ultima Nadef, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, prevedeva per il 2023 che la spesa valesse il 6,6% del Pil, scendesse poi al 6,2% quest’anno e il prossimo e addirittura al 6,1% nel 2026. Il tutto mentre nel resto d’Europa si investe molto di più sulla sanità. Nel 2022 la Germania era al 10,9%, la Francia al 10,3, il Regno Unito al 9,3 e la Spagna al 7,3.

Liste d’attesa e spesa privata

Il pubblico spende sempre meno e i cittadini sempre di più. Il sistema sanitario non è ancora riuscito a riportare l’offerta al periodo precedente al Covid. Nel 2019 si facevano oltre 210 milioni di visite ed esami, dato mai più raggiunto. Nei primi sei mesi dell’anno scorso non si è arrivati a 100 milioni. Con le strutture che lavorano meno e la domanda che tende invece ad aumentare, le liste d’attesa si allungano. Sono tantissimi i cittadini costretti a rivolgersi al privato per ottenere una prestazione in tempi accettabili. Ma c’è anche chi non può permetterselo e aspetta o rinuncia alle cure. La Corte dei conti spiega che «nel 2022 la spesa a carico delle famiglie è stata il 21,4% di quella totale, pari ad un valore pro capite di 624,7 euro, in crescita del 2,1% rispetto al 2019». Sempre facendo un confronto con gli altri Paesi europei, in Francia l’out of pocket vale l’8,9% e in Germania l’11%.

Vecchi ospedali

L’Italia ha un problema di ospedali vetusti. Solo il 18% delle strutture di cura hanno meno di 33 anni, cioè sono state costruite dopo il 1990. Quelle tirati su prima della fine della Seconda guerra mondiale sono molte di più, il 27%. Ma di recente il governo ha tolto dal Pnc, il Piano nazionale complementare al Pnrr, circa 1,2 miliardi destinati al programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile” invitando le Regioni a reperire i soldi da un altro fondo, quello per l’edilizia ospedaliera. Ma le amministrazioni locali contestano problemi procedurali e soprattutto ritengano che non ci sia abbastanza denaro a disposizione nel secondo fondo. Forza Italia ha appena presentato un emendamento al decreto Pnrr per cancellare la misura.

Ci sono fondi Pnrr anche per comprare nuove attrezzature diagnostiche e fino ad ora sono state soprattutto le Regioni di Centro-Nord a spenderli. Secondo Confindustria dispositivi medici, in Italia ci sono quasi 37mila apparecchi non più in linea con l’attuale livello di innovazione. Il 92% dei mammografi convenzionali ha più di dieci anni, così come il 96% delle Tac e il 91% dei sistemi radiografici fissi.

Il nodo del personale

Siamo nel periodo più critico per gli organici della sanità. Al periodo di gobba pensionistica dei dottori si affiancano gli effetti del numero chiuso a Medicina. Si laureano in questi anni i giovani entrati quando i posti erano pochi. In futuro le cose miglioreranno (per i sindacati alla fine ci saranno pure troppi camici bianchi), intanto si soffre. Mancano circa 10-15 mila professionisti, in particolare ci sono problemi nei pronto soccorso, nelle chirurgie, nelle rianimazioni. Le paghe sono molto più basse rispetto a quelle di altri Paesi europei, il lavoro è sempre più duro per le carenze e così è sorto anche il problema delle fughe dal sistema pubblico, verso l’estero o verso il privato. La stima è che l’anno abbiano lasciato circa 5 mila ospedalieri su 100 mila. La crisi riguarda anche gli infermieri, che sarebbero addirittura 65 mila in meno. Anche questi professionisti lasciano e tra i problemi c’è la paga troppo bassa, 1.600 euro, per chi arriva a lavorare dopo tre anni di università.

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