Migliaia di neonazisti sfilano a Budepast. Polemiche per il murales con Ilaria Salis impiccata

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Budapest — Di Andras, 55 anni, colpisce il tono, moderato, quasi accomodante: «Io sono per l’ordine. E l’ordine prevede che se commetti un reato da infame, come è colpire alle spalle perché non hai il coraggio di affrontare il nemico, tu finisca in catene. L’Ungheria è un paese di ordine. Ilaria Salis è in catene». Di Gyula, 44 anni, che insegna “lotta tattica armata”, invece la sicurezza: «Non posso offendermi se mi chiami nazista. Perché significa anche nazionalista: e io sono orgoglioso di vivere in un paese dove le mie figlie, bionde e con gli occhi azzurri, possono venire in palestra in bicicletta senza avere paura. A Berlino non potrebbero». A proposito: di un tedesco con la divisa da Ss resta indimenticabile invece lo sguardo. Forse è da ridere – perché sembra una parodia: il cattivo dei film dei nazisti, «non parlare inglese perché mi dà fastidio» – o forse è davvero da avere paura. A Nathan, scozzese, 44 anni, verrebbe invece voglia di chiedere di più: di quel tatuaggio a forma di martello che gli spunta sul collo, di quella toppa con il teschio che ha appuntato sul giubbotto, della foto di una bambina che spunta dal cellulare, quando lo prende per mostrarti che lui c’era anche un anno fa, quando Ilaria Salis è stata arrestata. «L’antifascista italiana. È morta?».

No, non è morta. Ilaria Salis è viva anche se qualche nazista ha riempito i muri di Budapest di un murales, storpiando quello che Laika aveva realizzato a Roma sotto l’ambasciata ungherese, che la vede impiccata: per questo ieri il ministro Antonio Tajani ha chiesto conto al governo di Budapest. Ilaria è viva. E continua a sognare un mondo dove tutto questo, una manifestazione nazista con 4mila persone nel centro di una capitale europea, non possa essere tollerato.

È una giornata di sole quella di Budapest. È mezzogiorno quando nella piazza più alta nella zona del Castello arrivano i primi partecipanti a questa strana marcia, la cui partenza è prevista sei ore dopo: camminano fino a 60 chilometri nei boschi qui di fronte, dove i soldati ungheresi resistettero all’Armata rossa. E oggi ci sono le ville dei ricchi della città. Cammineranno, dormiranno nei boschi, ricorderanno i caduti: sulla carta è quasi una manifestazione sportiva (e per qualcuno sembra esserlo: ci sono centinaia di persone in tenuta da escursionismo, che si guardano attorno un po’ spersi), per alcuni è una rievocazione (una cosa a metà tra il nazionalismo ungherese e una parata cosplay) per altri è semplicemente l’orrore, quello nazista, «quello di una destra estrema i cui valori – parla Petr, che conosce l’Italia per averci vissuto – non moriranno mai». Sono quelli di Orbán? «Si avvicinano».

A proposito di Orbán: oggi si è sentito il rumore di un terremoto, a Budapest. La presidente della Repubblica, Katalin Novak, orbaniana di ferro, si è dovuta dimettere travolta dalle polemiche dopo aver concesso la grazia a un pedofilo. Non uno qualsiasi: era un vecchio amico della famiglia Orbán, legato a suo fratello e alla loro città di nascita. Una storia strana: si è saputa soltanto per via di un problema procedurale, l’uomo non aveva mai chiesto la grazia ma la “pratica” era arrivata sul tavolo del presidente già pronta. Da chi? Cosa sapeva Orbán? Il premier quando ha visto la gente in piazza, su un argomento indifendibile, ha scaricato Novak che ieri in diretta televisiva ha detto: «Ho sbagliato, mi dimetto».

Il terremoto tra i nazisti non si sente. E così mentre gli organizzatori consegnano ai partecipanti la mappa dell’escursione nei boschi, in lontananza c’è soltanto il rumore di un megafono. È quello alla testa di un corteo di un centinaio di antifascisti scesi in piazza perché «le strade di Budapest non possono essere dei nazisti». Passano vicini ma abbastanza lontani dai nazisti, controllati da qualche centinaia di poliziotti. Tra i manifestanti ci sono italiani, nascosti nel centro del corteo: hanno paura di essere ripresi, si coprono i volti, tre agenti della Polizia hanno le telecamere in mano. Dall’altra parte, dove c’erano i nazisti, non ce n’era nemmeno uno. «Che dicono?» chiede un poliziotto, che non capisce cosa urla il corteo. Cantano. In italiano, per Ilaria: «Siamo tutti antifascisti».

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