Salvini batte la ritirata e punta al 7 per cento “Vannacci? Ci penso. Sui gay abbiamo idee diverse”

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Roma. La ritirata di Matteo Salvini è iniziata. Sparge dubbi sul generale Vannacci, che rischia di non entrare nelle liste leghiste per le Europee. Tende la mano ad Umberto Bossi e ai dissidenti interni, che adesso ammette di aver trascurato. Rinnega il patto con Russia Unita di Vladimir Putin (anche se non annuncia di averlo disdetto). Manda addirittura segnali di pace a Giorgia Meloni, dopo settimane di scontro, rivelando che la premier «ogni tanto la sera gioca a burraco con la mia fidanzata Francesca, stiamo costruendo un’amicizia fuori dalla politica». Sono le condizioni di una resa politica, quella che il leader prova a scambiare con la propria sopravvivenza al vertice della Lega. Una strategia dettata da uno spettro, anzi da un numero che gira ai vertici del Carroccio in queste ore. È l’asticella che determinerà il futuro del vicepremier: il 7%. Se Salvini dovesse restare sotto quella soglia alle prossime Europee, allora i colonnelli interverranno: chiedendogli un passo indietro e imponendo un segretario di transizione che dovrebbe traghettare il partito fino al congresso d’autunno.

A mettere in fila i cedimenti del capo, si comprende la portata della svolta. Resa ancora più necessaria dal calendario parlamentare: tra oggi e domani la Camera voterà sulla mozione di sfiducia al vicepremier presentata dall’opposizione – su impulso del calendiano Matteo Richetti – dopo le dichiarazioni del segretario del Carroccio seguite alla morte del dissidente russo Navalny. Palazzo Chigi ha già dato ordine di difendere Salvini (che tra l’altro oggi, salvo sorprese, diserterà l’Aula), ma ha ottenuto la pubblica scomunica del “partenariato paritario e confidenziale” siglato il 6 marzo 2017 tra via Bellerio e Russia Unita. “Come già ribadito – mette nero su bianco il Carroccio in una nota – i propositi di collaborazione puramente politica del 2017 tra la Lega e Russia Unita non hanno più valore dopo l’invasione dell’Ucraina. Di più. Anche negli anni precedenti non c’erano state iniziative comuni. La linea della Lega è confermata dai voti in Parlamento”. In realtà, quel patto – come riportava Repubblica già nel 2022 – prevede un tacito rinnovo in assenza di una esplicita comunicazione delle parti. «L’accordo – conferma Richetti – contiene una clausola automatica». Non si ha notizia ufficiale di una disdetta del protocollo, che sarebbe dunque stato rinnovato il 6 marzo del 2022, quando Putin aveva già invaso l’Ucraina.

Ma non basta. La ritirata di Salvini è addirittura più radicale. Il leader torna a parlare di Bossi, «non lo sento da troppo – dice a Belve – e questa è una delle mie colpe». Un segnale rivolto al fondatore della Lega, che oggi guida i dissidenti del Comitato del Nord. Proprio il coordinatore di quel comitato è tra i firmatari di una missiva – siglata da ex parlamentari, attuali dirigenti e leghisti storici – nella quale si contesta la linea del segretario e la scelta di allearsi con forze estremiste come i neonazisti tedeschi dell’Afd e con chi “non ha la nostra naturale repulsione nei confronti di fasci e svastiche”. I promotori dell’appello, per lo più lombardi, contestano anche la scelta di candidare alle Europee “personaggi con forte marcatura nazionalista, totalmente estranei al nostro movimento” come il generale Roberto Vannacci.

E anche su questo punto, a ben guardare, il vicepremier lascia intravedere una potenziale retromarcia. Francesca Fagnani gli chiede dell’opzione di schierare Vannacci e lui replica: «Ci stiamo ragionando». «Lei – insiste l’intervistatrice – lo direbbe mai che le persone omosessuali non sono normali?». «No, infatti ho detto che condivido le sue battaglie sulla libertà di pensiero, ma per me uno può essere omosessuale, eterosessuale, transessuale, bisessuale, polisessuale». E insomma, il tentativo di Salvini pare evidente: arretrare, tatticamente, per salvare la segreteria. Potrebbe non bastare, se dovesse scendere sotto l’asticella del 7%. A quel punto, i colonnelli chiederebbero un suo passo indietro, affidando la transizione al governatore del Friuli Venezia Giulia Max Fedriga. Ufficialmente, comunque, il vicepremier giura di voler resistere alla guida del partito: «Io penso di avere ancora tanto da dare. Poi persone in gamba ce ne sono, ma li lascio aspettare un attimo».

Chi pure aspetta di conoscere il proprio destino è la ministra del Turismo Daniela Santanchè. Anche per lei, come per Salvini, è calendarizzata una mozione di sfiducia. In teoria, tra oggi e domani sono previste due sedute notturne, il tempo per votare quindi ci sarebbe. Il problema è che potrebbe chiudersi in tempi rapidi anche l’indagine per falso in bilancio nella gestione di Visibilia. Palazzo Chigi rischia di assicurare la fiducia alla ministra e ritrovarsi poi qualche giorno dopo con questa nuova, potenziale tegola.

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