Ocse: in Italia il più forte calo di salari tra le grandi economie

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Italia maglia nera per i salari tra le grandi economie avanzate del pianeta: è la fotografia scattata dall’Ocse, l’organismo internazionale con sede a Parigi, nell’ultimo rapporto sulle Prospettive dell’Occupazione 2023 mentre l’Istat intravede una schiarita sul potere d’acquisto delle famiglie, con un aumento del 3,1% sul primo trimestre grazie al “forte rallentamento della dinamica dei prezzi”. Bene anche la produzione industriale, tornata a crescere a maggio dopo quattro flessioni consecutive segnando un +1,6% su aprile.

Nel rapporto presentato, l’Ocse mette in evidenza anzitutto la disoccupazione “mai così bassa” dai primi anni Settanta. “I mercati del lavoro hanno dato prova di una notevole resilienza nell’ultimo anno e restano tonici, malgrado l’elevata inflazione e l’aumento del costo della vita abbiano eroso i redditi reali”, afferma il segretario generale dell’Ocse, Mathias Corman, presentando l’Employment Outlook a Parigi. In Italia, secondo il rapporto, il numero di disoccupati “è sceso al 7,6%, due punti percentuali in meno rispetto a prima del Covid-19, ma ancora notevolmente sopra la media Ocse del 4,8%”. Quanto ai salari, il nostro Paese registra il calo più significativo tra i big globali.

“Alla fine del 2022 – avverte l’Ocse – i salari reali erano calati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia. La discesa è continuata nel primo trimestre del 2023, con una diminuzione su base annua del 7,5%. Si prevede che torneranno a crescere del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024. Un particolare avvertimento viene lanciato all’Italia rispetto ai “significativi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi (oltre il 50% dei lavoratori italiani è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni)” che – sottolinea l’Ocse – rischiano di “prolungare la perdita di potere d’acquisto per molti lavoratori”. Intervistato dall’ANSA, il direttore per l’Impiego, il Lavoro e gli Affari sociali dell’Ocse, Stefano Scarpetta, ritiene che nel Belpaese pesi anche l'”assenza di un salario minimo”, già introdotto in 30 Paesi Ocse su 38. Evocando, tra l’altro, gli effetti della guerra in Ucraina, l’economista sottolinea “l’importanza di avere in momenti come questo” un salario minimo, accompagnato da una commissione tripartita per valutarne il livello.

Cita l’esempio della Germania, che come l’Italia ha una “forte” contrattazione collettiva, il che non ha impedito all’ex cancelliera, Angela Merkel di introdurre una forma di salario minimo (partito nel 2015 da 8,50 euro l’ora) anche in risposta alla diffusione dei cosiddetti mini-job. Dinanzi alle sfide poste dall’Intelligenza Artificiale (IA), Scarpetta sottolinea inoltre la necessità di “investire in competenze”. “L’Italia -dichiara l’esperto – spende poco per la formazione professionale: spero che con il Pnrr si trovino le risorse per fare un salto di qualità e di quantità”. In conferenza stampa a Parigi, anche Cormann si è lungamente soffermato sulle tematiche legate all’IA. “Finora – spiega – non ci sono elementi che lascino pensare a una riduzione della domanda di lavoro dovuta” alle nuove tecnologie, assicura l’australiano, ricordando tuttavia la loro diffusione ancora relativamente limitata. Mentre “eventuali effetti negativi sull’occupazione” potrebbero “richiedere ancora tempo per concretizzarsi”.

Se si considerano tutte le tecnologie di automazione, compresa l’IA, le professioni a più alto rischio di automazione restano, in ogni caso quelle meno qualificate: il 30,1% dei lavoratori in Italia è occupato in professioni a più alto rischio di automazione, rispetto a una media Ocse del 27%.

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