Paesi Ue bloccano l’intesa sui rider, si torna a negoziare

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Subordinati o autonomi: questo è il grande dilemma. E per risolverlo l’Europa dovrà aspettare ancora. Il traguardo della rivoluzione sociale per i rider di tutto il continente si allontana proprio all’ultimo miglio.
Appena nove giorni dopo l’intesa politica raggiunta dopo una lunga maratona negoziale tra i governi Ue e l’Eurocamera, la retromarcia di un nutrito gruppo di capitali – guidate da Parigi – ha bloccato l’approvazione delle norme disegnate per tutelare gli oltre trenta milioni di lavoratori della gig economy sparsi nei Ventisette. Una battuta d’arresto difficile da digerire soprattutto per la Spagna – prima in Ue ad aver riconosciuto i rider come dipendenti regolari – , che della battaglia ha fatto un simbolo politico e che puntava a chiudere la sua presidenza Ue inanellando un altro successo dopo le prestigiose intese sulla riforma del Patto di stabilità e sul nuovo pacchetto per la migrazione e l’asilo.

“Chi ha orari, vacanze e performance monitorate da un algoritmo non è un freelance ma un lavoratore subordinato”, recitava l’accordo raggiunto dai negoziatori non più tardi del 13 dicembre. E teso a garantire il riconoscimento della reale natura dei rapporti di lavoro e il corollario di diritti che ne segue stabilendo una speciale lista di criteri da spuntare per la regolarizzazione dei corrieri di piattaforme come Uber, Deliveroo e Glovo, dal livello di retribuzione alle restrizioni sugli orari, passando per il codice di abbigliamento da seguire.

Un testo che però, scendendo nei suoi dettagli più giuridici, è stato ritenuto lontano dall’essere ideale da più parti. E che non ha convinto in primis la Francia, portavoce delle riserve espresse – secondo quanto fatto trapelare da fonti vicine al dossier – anche da Finlandia, Grecia, Ungheria, Svezia e Italia, facendo così mancare il sostegno della maggioranza qualificata richiesta per arrivare al via libera finale. Un risultato preannunciato già a metà settimana dal ministro francese del Lavoro, Olivier Dussopt, che davanti al Senato aveva espresso l’opinione sfavorevole del governo su un compromesso ritenuto troppo lontano dalla posizione adottata in prima battuta dai governi Ue a giugno, in particolare sulla questione delle “riqualificazioni” dei lavoratori da autonomi a dipendenti. Che, nella visione di Parigi, sarebbero troppo automatiche. L’intesa così non è stata nemmeno messa ai voti alla riunione degli ambasciatori Ue, passando direttamente nella mani del Belgio, che nel nuovo anno, nelle vesti di presidente di turno dell’Ue, dovrà decidere il da farsi.

Con tutta probabilità il testo verrà riaperto con la ripresa dei negoziati con il Parlamento europeo che, per bocca della sua relatrice, la dem Elisabetta Gualmini, si dice “unito” e fa appello ai governi affinché “superino le resistenze”. I sindacati Ue, dal canto loro, pur riconoscendo le imperfezioni dell’accordo, difendono a spada tratta gli “standard di base” che per la prima volta garantirebbero tutele nel settore e preannunciano battaglia per “concludere con successo la procedura” nel 2024. A dettare la linea per il momento restano i tribunali nazionali, dove da anni si affastellano le cause tra autonomi e datori di lavoro. A Bruxelles centoquindici rider di Deliveroo hanno trovato sotto l’albero la sentenza a loro favore dei giudici del Lavoro di Bruxelles. Un regalo di Natale in vista della contesa europea. 

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