Alluvione Marche. Cantiano. I tre ruscelli dei bambini diventati artigli

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Almeno questa mattina, sotto la rocca, nessuno piange un morto. È un miracolo dicono tutti. Ed è anche l’unica consolazione, perché a essere morto forse è proprio il paese, il mio paese di bambino. Un infarto lo ha colpito al cuore. Un fiume di fango, di notte, ha spazzato via il ristorante, il bar, l’enoteca, l’edicola, la chiesa, la banca, la farmacia, il forno, con un accanimento sadico su tutti i luoghi che fanno “comunità”, che trasformano un agglomerato di pietre antiche in un focolare di amicizie e affetti.

Il “maledicto arnese de guerra”, il castello di Cantiano, che nemmeno le feroci schiere di Braccio da Montone riuscirono a espugnare, s’è dovuto arrendere a due ore di pioggia tropicale. Il martello liquido ha schiantato tutto, in mezz’ora sono caduti 300 millilitri di acqua, più di 3 quintali al metro quadro, un rullo compressore che passando ha travolto auto, è entrato nelle case, ha portato via capannoni, animali, fino a espandersi con la sua furia nelle campagne coperte da milioni di litri di fango.

Si è fatta notte, l’elettricità è saltata, i cellulari hanno smesso di ricevere il segnale e così anche le linee telefoniche fisse. In questo nero, con il mugghiare crescente dell’acqua, la sedicenne Giulia scende dall’auto della mamma e si convince di potercela fare a piedi. In fondo mancano poche decine di metri al portone di casa. Ma il fiume ha rotto gli argini e trasforma l’antica strada di Borgo in un alveo, accelerando la sua corsa impetuosa con un’onda alta due metri. Giulia è smilza e scattante, si rifugia con un balzo dietro un arco in pietra, ma l’acqua sale, le arriva in pochi secondi fino al petto. Quasi travolta inizia ad arrampicarsi prima a una grata di ferro, poi scivola giù con le mani bagnate e tremanti, ma trova il tubo discendente del tetto – che a Cantiano chiamano “canaleccia” – e inizia a scalarlo. Resta aggrappata come un ragno a questa pertica pericolante, grida, sta per cadere in quel magma nero e sarebbe la sua fine. Finché due braccia forti, quelle di Emiliano, la afferrano sotto le ascelle e la tirano su, verso l’alto e la salvezza. Braccia di alpinista, perché Emiliano, sentendo le urla, si è infilato la sua imbragatura e si è calato dalla finestra nel vuoto con le funi da scalata. In quegli stessi minuti la parrucchiera del centro viene issata fuori dal negozio grazie a delle lenzuola annodate, un’evasione al contrario, verso l’alto. Mentre Elena, che come molti anziani preferisce il noto all’ignoto, non sente ragioni e non vuole abbandonare la casa nonostante le suppliche dei pompieri. L’acqua è arrivata al suo primo piano, ci sono appena altri tre gradini a separare l’appartamento dal mostro che sta salendo. Ma Elena non sente ragioni: “Da qui non mi muovo, prendo dieci gocce di Lexotan e vò a letto. Accada quel che deve accadere”.Filippo invece sta tornando a casa, ignaro di quello che è successo. Viene da Cagli. Arrivato all’altezza della frazione di Pontedazzo vede il mostro corrergli incontro, fa appena in tempo a inchiodare e scappare con un’inversione a U.

La folle corsa nella notte finisce in una stradina in salita, mentre tutto intorno si stende l’onda marrone. In cima alla stradina un casolare, degli sconosciuti gli aprono e lo rincuorano. Passerà la notte da loro, perché le tragedie avvicinano e l’uomo riconosce se stesso nell’altro.

Al mattino spettri coperti di fango si aggirano per le strade con gli stivaloni da pesca. Gianni il fotografo riesce a salvare appena in tempo l’hard disk che galleggia nella bottega, dentro ci sono tre matrimoni. L’edicola di Daniela è tappata dal fango e dai detriti. Ogni giorno Daniela pubblica sui social una foto di un cantianese che consiglia una lettura: libri, giornali, la settimana enigmistica. Cosa pubblicherai domani Daniela? Davide è un giovane coraggioso che in piazza ha aperto “La cantina sociale”, che non è affatto una cantina ma un ristorante raffinato che richiama gourmand da tutta la regione. Tra una settimana gli nascerà un figlio, la stagione estiva è andata bene, la pandemia sembrava alle spalle. E adesso questo. Il suo locale, ricavato nelle antiche cantine di un palazzo storico, è una caverna piena di tronchi, massi, acqua lurida, detriti. Davide si aggira in piazza alle prime luci dell’alba, temporeggia ma non entra. Torna indietro curvo: “Non ho il coraggio, non è rimasto più niente”.

Il Tenetra, il Bevano, il Burano. Tre ruscelli dove ogni bambino cantianese impara a giocare, tirando sassi nelle acque basse e chiare, cercando di individuare i cavedani e i “ciambotti”, come qui si chiamano i rospi, nascosti sotto i sassi. Tre innocui fiumiciattoli che la bomba d’acqua trasforma, in appena trenta minuti, negli artigli d’acciaio di un erpice che frantuma ogni cosa al suo passaggio.
Coraggio Cantiano, tieni duro.

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