Autonomia, una legge che trasforma legittime diversità territoriali in stabili diseguaglianze civili

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Nell’aprile del 1984 fu registrato a Varese l’atto notarile con cui nasceva la Lega Autonomista Lombarda, che poi assumerà il nome di Lega Nord. Il partito fondato da Umberto Bossi (e guidato oggi da Matteo Salvini) è, quindi, il più longevo tra tutti quelli esistenti, il più camaleontico nelle alleanze (ha governato con Berlusconi, con Meloni, con Conte, con Draghi e ha sostenuto con il centrosinistra anche il governo Dini), il più influente nella storia politica nazionale tra quelli a insediamento regionale, il più governativo e il più integrato nel sistema tra i partiti nati a vocazione anti-sistema.

In questi 40 anni di esistenza la Lega ha avuto coerentemente un obiettivo fisso ed ossessivo: operare una drastica revisione delle fondamenta unitarie della nazione. L’autonomia differenziata è solo l’ultima versione di un lucido disegno avviato quasi mezzo secolo fa: rendere le divisioni territoriali dell’Italia irreversibili (soprattutto quella tra nord e sud), sanzionarle con un nuovo sistema istituzionale basato sulla potestà delle regioni e sulla rarefazione del potere statale e centrale, assicurare un vantaggio cospicuo alle regioni del nord (tornate ad essere sua esclusiva base elettorale) a cui successivamente garantire anche l’utilizzo in loco delle tasse dei propri concittadini. Nei fatti l’Italia cessa di essere una entità unica su base nazionale e si dà vita a un sistema di “poliarchia regionale”. Scardinare lo Stato-nazione è stato il bersaglio principale della Lega.

Questa strategia antiunitaria e antinazionale ha cambiato nome nel tempo. Si è chiamata “Repubblica del nord”, “Indipendenza della Padania”, “Secessione”, “Devolution”, “Federalismo”, ma la sostanza non si è mai modificata: un autonomismo divisivo, un regionalismo differenziante e anti-egualitario, basato su di una specie di “ius loci” (diritto di territorio) delle Regioni più sviluppate che si aggiungerà alla lunga catena delle diseguaglianze già in essere nella nostra società. Con l’approvazione dell’Autonomia differenziata viene sancito che ogni Regione è padrona del suo territorio, senza legami con i destini nazionali e senza corresponsabilità con i compiti di riduzione dei divari tra i cittadini dello stesso Paese, ratificando il fatto che la semplice appartenenza territoriale può rendere un meridionale membro di una nazione minore. Perciò questo autonomismo spericolato ha molto a che fare con una specie di etno-regionalismo, perché trasforma le diversità territoriali (legittime e naturali) in stabili diseguaglianze sociali e civili.

La rivendicazione di un assetto diverso dello Stato italiano non è di per sé un fatto eversivo, certo. Nel corso degli anni diverse ipotesi sono state avanzate per sopperire ai limiti evidenti del funzionamento delle nostre istituzioni, ma nessun governo aveva mai messo in discussione, come avviene oggi, il concetto stesso di nazione, nessuno aveva puntato a intaccare le ragioni concrete dello stare insieme di territori diversi in una un’unica entità statuale capace di garantire a tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità. Ed è singolare che tutto ciò avvenga mentre il governo è presieduto dalla rappresentante di una forza politica che nelle sue diverse denominazioni ha sempre fatto del binomio Patria e Stato un mantra politico-identitario. Come si può essere al tempo stesso nazionalisti, patriottici e localisti esasperati? Ed è ancora più singolare che la Lega stia per ottenere il suo massimo risultato politico mentre attraversa la fase politica cosiddetta “sovranista”. Che rapporto c’è tra sovranismo nazionale e regionalismo differenziante? Come possono le destre italiane sfidarsi a chi è più patriottica e nazionalista mentre sferrano un colpo alle ragioni dello stare insieme di cui non c’è eguale nella storia del dopoguerra?

Sicuramente la ragione di tanta disinvoltura è lo scambio tra premierato e Autonomia differenziata. È evidente che fare approvare il premierato per la Meloni e per il suo partito “vale bene” qualsiasi compromesso con la propria identità storica. C’è un elemento in più da non trascurare in questa vicenda, cioè il cedimento della destra meloniana, un tempo definitasi destra sociale, verso una identità al tempo stesso moderata ed estremista perché accetta come dogma insuperabile quello della diseguaglianza degli uomini e dei territori.

Come è ben noto, diversità, differenza e diseguaglianza non sono affatto sinonimi. La diversità è un fatto naturale che non attiene a nessuna scelta soggettiva, è quello che si è naturalmente senza che ciò incida su quello che si vuole essere o divenire. La diseguaglianza, invece, è una diversità esasperata e non determinata solo da scelte personali. Sulla diseguaglianza incidono moltissimo le strategie pubbliche oltre che i comportamenti privati. Da oggi in Italia viene sancito con l’Autonomia differenziata che la diversità dettata dall’essere nato nel sud viene trasformata in diseguaglianza di opportunità e di servizi pubblici. Non era mai capitato nella nostra storia una così netta discriminazione territoriale. Una novità e un’ingiustizia contro cui le forze politiche progressiste debbono reagire con ancora più forza, incisività e coerenza.

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