Cosa si vede nell’Atlante del mondo invisibile

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“Il brivido di vedere ciò che nessuno ha mai visto prima”, scrive il geografo inglese James Cheshire nell’introduzione di L’atlante del mondo invisibile che Mondadori ha appena pubblicato in Italia (pp. 218, 28 euro). Trentacinque anni, al suo terzo volume in collaborazione con il grafico Oliver Uberti, dei fenomeni non osservabili ad occhio nudo Cheshire ha fatto una professione. Migrazioni, cambiamento climatico, tecnologie, società, urbanistica, sono solo alcuni dei terreni nei quali il libro si muove. Vincitore del premio della Società cartografica britannica, del John C. Bartholomew per la cartografia tematica e dello Stanfords sempre per la cartografia, L’atlante del mondo invisibile è una rappresentazione suggestiva di quel che riusciamo a scorgere e a capire grazie alla raccolta capillare di informazioni che arrivano da satelliti, sensori, indagini.
 

“Poter visualizzare qualcosa in una infografica contribuisce a dare un certo livello di chiarezza rispetto a fenomeni complessi che vanno oltre la capacità dei nostri sensi”, racconta lo stesso Cheshire, che insegna Geographic information and cartography alla University College London. “La crisi climatica ad esempio, della quale avvertiamo direttamente solo una frazione, avviene su vari livelli e in diverse parti del mondo contemporaneamente. Raccogliere tutti questi dati, distillarli e farne una sorta di mappa, può aiutare a comprendere e a capire anche fenomeni astratti”.   

Per presentare questa nuova forma data all’invisibile, geografia della realtà che ci circonda, Cheshire e Uberti, aprono con le immagini legate a due scienziate. La prima è la chimica inglese Rosalind Franklin, scomparsa ad appena 37 anni nel 1958, alla quale vennero riconosciuti i meriti solo dopo la sua morte. A lei viene attribuita la “Foto 51” scattata al King’s College nel 1952. In quella cinquantunesima immagine di diffrazione dei raggi X comparve per la prima volta la struttura del DNA. Nel 2019 un’altra ricercatrice, anche lei appena trentenne, vide qualcosa che nessun altro aveva visto: Katie Bouman, classe 1989 e membro dell’Event Horizon Telescope Collaboration, grazie agli algoritmi sviluppati con i suoi colleghi ha potuto guardare il buco nero supermassiccio nella galassia di Virgo A.

“Non sono solo le dimensioni a rendere invisibile un oggetto”, prosegue il geografo inglese. “A volte ci perdiamo ciò che non possiamo vedere facendo un passo indietro: le città crescono intorno a noi, così l’inquinamento, la terra si scalda sotto i nostri piedi. A volte, l’invisibile si manifesta solo con il passare del tempo, come nel caso della gentrificazione dei quartieri o del ritiro dei ghiacciai. Quando si tratta di eventi storici, invece, il visibile diventa invisibile con la perdita di una generazione. Il potere dei dati sta nella loro capacità di congelare il tempo in un preciso istante. E, come i negativi di una foto vanno sviluppati prima di poter essere visti, così gli schemi nascosti in un set di informazioni emergono per davvero solo attraverso mappe e grafici. Queste rappresentazioni ci conferiscono il potere di fare un passo indietro, di comparare, di ricordare”.
 

Il libro, del quale avevamo già parlato al tempo della sua uscita in Gran Bretagna, è una raccolta di tavole raggruppate in quattro grandi aree temporali fra passato, presente e possibile futuro. Finestre aperte su epoche e fenomeni differenti: la colonizzazione dei sapiens dell’Australia; le vie dell’economia globale con il confronto delle rotte mercantili più frequentate nell’era della vela, l’età del vapore fra il 1860 e il 1920 e poi quella del diesel; le aree dove si è concentrata di più nel tempo la caccia alla balena dal 1761 agli inizi del Novecento; la divisione etnica degli immigrati europei, italiani inclusi, dei quartieri di Chicago; le nuove zone metropolitane delineate in base ai percorsi dei pendolari in contrasto con la tradizionale divisione amministrativa; l’entità degli esodi dovuti ai cicloni e ad altri fenomeni climatici estremi; l’urbanizzazione e l’espansione delle città cinesi; la difformità dell’aumento delle temperature in varie aree del pianeta a dimostrazione che il riscaldamento globale non colpisce allo stesso modo e lo stesso vale per l’innalzamento del livello del mare; i possibili cambiamenti futuri nelle fasce di età della popolazione mondiale con il peso sempre maggiore di adulti e anziani.

Il racconto

Il punto di vista di Gagarin

L’origine di questa geografia ha a che fare con gli studiosi ottocenteschi che presero a raffigurare un mondo in trasformazione e sempre più industriale. In particolare Kosmos di Alexander von Humboldt del 1845, opera imprescindibile secondo James Cheshire. Von Humboldt, che a quei tempi era una celebrità, passò gli ultimi venticinque anni della sua vita a Berlino preso dalla stesura di questa enciclopedia sul cosmo. Ad illustrarla ci pensò Heinrich Berghaus. Molte oggi le chiameremmo “infografiche”, ad esempio le sezioni della crosta terrestre con la descrizione dei vari strati. Erano i primi segni di mappe che rappresentavano quel che era impossibile vedere a occhio nudo grazie alla scienza.
 

“La sfida attuale che trovo interessante è guardare a fenomeni molto locali”, conclude il geografo. “Si sta parlando molto di intelligenza artificiale ma usarla per capire la complessità di un contesto circoscritto è decisamente infruttuoso. Mentre questi tasselli più piccoli sono una parte critica nell’anticipare certi fenomeni e il collegarli fra loro può trasformarsi in uno strumento importante. Prendiamo una strada nella quale sono stati fatti dei lavori di manutenzione alla rete di distribuzione del gas. Viene chiusa creando dei disagi e magari la settimana dopo è di nuovo bloccata perché c’è un’altra perdita stavolta alla rete elettrica. È solo un piccolo esempio di quanto pianificare in maniera predittiva gli interventi, potrebbe portare ad uso molto migliore dello spazio e del tempo”.

Secondo Cheshire c’è ancora molto da fare nel campo delle rappresentazioni del mondo che ormai dovrebbero riguardare non solo quel che ci circonda ma anche come le persone lo percepiscono. Nel libro qualche accenno a questa parte più emozionale c’è, ma è solo un primo passo in un territorio che la geografia deve ancora cominciare ad esplorare sul serio. 

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