D’Amico, il prof contadino che unisce la sinistra: “Ci riprendiamo l’Abruzzo”

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PESCARA — Se non amate le formule astratte, tipo “campo largo”, e preferite la sostanza delle cose, dovreste conoscere Luciano D’Amico. Commercialista figlio di contadini abruzzesi, docente di Economia aziendale, ex rettore dell’università di Teramo, il sessantaquattrenne D’Amico è in corsa per la presidenza della Regione Abruzzo, dove si vota il 10 marzo, e ha messo d’accordo tutte le forze di opposizione, nessuna esclusa. D’Amico è uno dei pochi uomini in Italia che può provare l’insolita esperienza di fare campagna elettorale sul territorio un giorno con la segretaria del Pd Elly Schlein, un altro con il leader del M5S Giuseppe Conte, che è arrivato ieri in Abruzzo per un tour elettorale di tre giorni, poi con il capo di Azione Carlo Calenda, che è già venuto, e infine anche con Matteo Renzi, che sta per farlo. Un miracolo? A sentir lui, è meno miracoloso di quel che sembra: «La verità – dice D’Amico seduto in un ristorante di Pescara, tra una tappa e l’altra della campagna – è che la differenze non spariscono, ma quando si decide di stare insieme è molto più facile appianarle».

Sei mesi fa l’Abruzzo pareva una fortezza inespugnabile. A rassicurare il governatore in carica, il meloniano Marco Marsilio, non erano solo i sondaggi ma soprattutto l’aria: come avrebbe potuto la litigiosa opposizione trovare un candidato che andasse bene a tutti e per giunta capace di spodestare un presidente così vicino al potere nazionale dei Fratelli di Giorgia? Poi qualcuno ha avuto l’idea di andare a bussare da D’Amico e, uno alla volta, si sono accodati tutti i partiti.

Adesso l’aria è diversa, anche perché l’Abruzzo condivide con la Sardegna una storia da swing State, direbbero negli Usa, quelle regioni contese e decisive che cambiano spesso bandiera e, in effetti, negli ultimi venti anni l’Abruzzo ha fatto avanti e indietro tra destra e sinistra. Ora è tutto nelle mani di quest’uomo mite e determinato: «Sarei bugiardo se dicessi che non sento la pressione del risultato, ancora di più dopo il voto della Sardegna. Ma sento un entusiasmo crescente, alla presentazione del mio programma a Pescara i vigili del fuoco hanno dovuto chiudere la sala mezz’ora prima dell’inizio perché c’era troppa gente. Dopodiché, per esperienza di vita dico che le cose accadono quando devono accadere, vedremo tra pochi giorni se questo per l’Abruzzo è il momento di cambiare pagina».

A proposito di programma, quello di D’Amico è ricco di spunti su sanità, turismo, lavoro, industria, però si apre su un punto di principio: la differenza tra conservatori e progressisti. «Sono un uomo di sinistra e ho voluto presentarmi così perché sentivo il bisogno di sconfessare questo luogo comune cresciuto tanto negli ultimi anni, quest’idea secondo la quale destra e sinistra sono ormai la stessa cosa, o comunque concetti superati. La differenza c’è, eccome. È una questione di giustizia sociale, equità, solidarietà. La destra, e lo dico con rispetto, è un’altra cosa. La nostra destra, poi, è primatista in due specialità: sfasciare i conti pubblici e fare macelleria sociale».

D’Amico ritiene che, pure in Abruzzo, Marsilio e il partito della presidente del Consiglio abbiano ecceduto in ebbrezza del comando, a scapito innanzitutto degli altri partiti della coalizione. Un’altra analogia con la Sardegna? «Penso – risponde D’Amico – che se anche il nostro sistema elettorale prevedesse il voto disgiunto, per Marsilio sarebbero guai, come in Sardegna dopo l’imposizione di Truzzu al resto della coalizione. E Truzzu, almeno, era sardo». La battuta non è casuale. Nativo del teatino, residente a Pescara e prof a Teramo, l’indigeno D’Amico sa di avere un potenziale vantaggio sul romano Marsilio, che l’opposizione considera un paracadutato dalla Capitale. Né D’Amico ha paura di essere schiacciato sull’immagine da professorone della sinistra ztl, anche perché non c’è mai stato bisogno di limitare il traffico nel centro di Torricella Peligna, suo paesino di origine in provincia di Chieti, famoso nel mondo perché da qui partì per l’America il padre dello scrittore John Fante. «Con me – commenta – è un po’ difficile mettermi nella parte del professore snob. Vengo da una famiglia di contadini. Non eravamo poveri, ma la prima vacanza estiva della mia vita l’ho fatta a 28 anni, perché per mio padre studiare non era né un diritto né un dovere, era un privilegio, e bisognava guadagnarselo lavorando d’estate».

Quello che D’Amico più rimprovera al suo avversario è l’immobilismo: «In uno dei confronti diretti che abbiamo avuto, Marsilio ha detto che è orgoglioso di difendere le tradizioni. Nulla contro le tradizioni, ma quello che manca totalmente a chi governa l’Abruzzo è una visione del futuro». D’Amico spiega che l’industria manifatturiera pesa sul pil della regione per il 28 per cento. «In Germania è il 22%, per dire. Si pensa spesso all’Abruzzo come a una terra di parchi, turismo e agricoltura e invece noi qui abbiamo i più importanti poli industriali del Mezzogiorno, insediamenti che esportano in tutto il mondo ma con infrastrutture ferme a 60 anni fa. Mancano le ferrovie, la A14 è in rifacimento senza terza corsia, al porto di Ortona le navi troppo pesanti non possono attraccare perché il fondale è basso, al porto di Vasto il fondale è alto ma le banchine troppo strette. Marsilio si è svegliato negli ultimi sei mesi, un po’ tardi. Qui bisogna portare investimenti e ricerca perché è l’ultima occasione per tenere il passo con la competizione globale, altrimenti finirà come con i maglifici e i calzaturifici, che qui erano diffusissimi e negli anni Ottanta hanno chiuso uno dopo l’altro».

Una delle carte della campagna elettorale è la proposta di trasporto locale gratuito. D’Amico, che da ex manager dei trasporti regionali ha rimesso in piedi un’azienda decotta, giura che si può fare. Poi c’è, come in molte parti d’Italia, il dramma sanità: «Non c’è persona in Abruzzo che non abbia un racconto diretto, familiari o amici, di brutte esperienze al pronto soccorso, di rinuncia alle cure o di esami fissati un anno dopo. Eppure ci sono le condizioni per fare meglio: io stesso ho tre bypass grazie a un chirurgo che è tornato a lavorare a Chieti da Londra». Qui D’Amico ride: «Visti i ritmi della campagna elettorale, è molto soddisfatto del risultato».

In Abruzzo si gioca una partita decisiva anche a livello nazionale, lo sa Meloni e lo sa D’Amico, ma meglio non usare metafore sportive, anche perché non le capirebbe lui per primo: «In vita mia – racconta – ho visto alla tv una sola partita di calcio, da bambino. La semifinale di Messico 70 tra Italia e Germania e quando il telecronista disse che si andava ai tempi supplementari andai a dormire, perché ero convinto che si sarebbero giocati un altro giorno».

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