Dispersione scolastica, le risposte che mancano nei programmi dei partiti

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C’è qualcosa che mi insospettisce. Tutti i giorni commentatori e giornalisti, lettori indignati e ascoltatori indispettiti, per non dire dei social, lamentano il fatto che in questa campagna elettorale “non si parla mai di programmi”. Due le ragioni del mio sospetto: che ricordo perfettamente come analoga lamentela si udiva nella campagna elettorale del 2018, in quella del 2013 e così via indietro nel tempo; e che, i più accalorati nel denunciare “il silenzio sui programmi”, siano spesso molti esponenti politici. Esattamente quelli che – bizzarro, vero? – di progetti per la nuova legislatura e di politiche concrete su questo o su quello, tacciono ostinatamente. E, allora, proviamo a individuarne uno tra questi, ad avvicinarlo e a chiedergli che cosa pensa della cosiddetta dispersione scolastica. Che cosa pensa, quel politico: ovvero quale misure, provvedimenti, leggi ritenga necessario promuovere per affrontare questa drammatica questione.

Pochi giorni fa Save the Children ha pubblicato “Alla ricerca del tempo perduto”, un rapporto che descrive la situazione scolastica e lavorativa dei giovani e giovanissimi in Italia. Ecco i dati essenziali. Il 9,7% degli studenti, con un diploma superiore, si ritrova, nel 2022, in condizioni di dispersione “implicita”, cioè senza le competenze minime necessarie (secondo gli standard INVALSI) per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università. Mentre il 12,7% dei minori non arriva neanche al diploma delle superiori, perché interrompe precocemente gli studi. L’abbandono scolastico, in quasi tutte le regioni del sud, supera la media nazionale del 12,7%: in Sicilia si arriva al 21,1%; in Puglia al 17,6%, in Campania al 16,4% e, infine, in Calabria al 14%. In alcune città, il tasso di dispersione è superiore alla media nazionale: a Catania, per esempio, è più del 25%. Significa che un minore su quattro non va a scuola.

Il confronto con l’Europa è pesante, visto che l’incidenza della dispersione scolastica, nonostante i progressi compiuti, in Italia resta tra la più elevata in assoluto dopo quella della Romania (15,3%) e della Spagna (13,3%), ed è ben lontana dall’obiettivo del 9% entro il 2030 indicato dalla UE.

Sempre secondo Save the Children, è evidente che vi sia un correlazione tra livello di apprendimento e alcuni indicatori strutturali: infatti, nelle province dove l’indice di dispersione “implicita” è più basso, le scuole primarie hanno assicurato ai bambini maggior offerta di tempo pieno (frequentato dal 31,5% degli studenti contro il 24,9% nelle province ad alta dispersione), maggior numero di mense (il 25,9% contro il 18,8%) e di palestre dotate di certificato di agibilità (il 47,9% contro il 25,3%). Un altro dato rilevante: il numero dei NEET nel nostro Paese, ovvero i 15-29enni che si trovano in un limbo fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione, raggiunge il 23,1%; ed è addirittura il più alto rispetto ai paesi UE (media 13,1%), segnando quasi 10 punti in più rispetto a Spagna (14,1%) e Polonia (13,4%) e più del doppio rispetto a Germania e Francia (9,2%).

Non meno allarmante è il quadro emerso dai dati del Ministero dell’Istruzione. Nelle scuole statali gli iscritti sono 7,3 milioni; lo scorso anno scolastico, erano poco più di 7,5 milioni. E dal 2020, si sono persi più di 230mila alunni, soprattutto nelle scuole dell’infanzia (-57.214) e primaria (-128.449). Infine, nelle scuole medie, si registra un calo di 60.280 studenti.

Tutto questo in un quadro dove la crisi demografica continua inarrestabile. Un programma contro la dispersione scolastica risulta, di conseguenza, non solo importante, ma drammaticamente urgente. Ci sarà un candidato alle elezioni politiche che proverà a offrire una risposta?

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