Gaza, l’arte senza più colore di Basel: pittore e profugo che dipinge in tenda

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RAFAH — L’ultima volta che avevo visto Basel Al Maqusi era all’inaugurazione di una delle sue tante mostre a Gaza. Basel è un pittore di grande valore, molto noto nella Striscia. Viveva a Beit Lahia, l’ho ritrovato camminando per il campo rifugiati Tel Alsultan, a Rafah. In lacrime.

Insieme a sua moglie e ai suoi quattro figli, il maggiore ha 20 anni e il più piccolo 8, sono arrivati qui dal Nord, lo scorso mese. Come tutti gli sfollati non sono riusciti a portare niente con loro e non hanno trovato un’abitazione dove vivere, così dopo aver acquistato del nylon e del legno hanno costruito una tenda proprio sulla strada dove ora vivono affrontando la difficoltà del freddo e delle intemperie. Ieri la pioggia ha bagnato tutti i loro pochi averi, in particolare le lenzuola e le coperte che utilizzano per riscaldarsi. Due dei loro figli sono ammalati, raffreddati e con difficoltà respiratorie dovute anche alle polveri che si alzano dopo i bombardamenti. Sono denutriti perché da giorni ormai mangiano soltanto i fagioli in scatola che arrivano con gli aiuti umanitari e hanno segni di malattie cutanee.

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Basel ha 53 anni, non ha più un soldo e persino nell’ospedale del Kuwait a Rafah dove ha portato i due bambini non ci sono più medicinali per curarli. La condizione della sua famiglia lo fa disperare e come tanti altri ormai capisce che la volontà di Israele è quella di spingerli fuori dalla Striscia. Lui però vuole tornare al Nord, alle sue origini, vuole ripartire dalle macerie di quella che era la sua casa e sogna di organizzare una grande mostra appena la guerra sarà finita.

Basel Al Maqusi mostra uno dei suoi disegni nella tenda dove vive a Rafah / Foto Sami al-Ajrami

Tutte quello che ha dipinto fino a oggi è stato distrutto, come tutto il resto delle Striscia, ma da quando è arrivato a Rafah Basel ha trovato l’urgenza creativa di tornare a disegnare. Nella biblioteca di Rafah è riuscito a trovare della carta e delle matite che ora difende dalla pioggia così come fa con i suoi affetti più cari.

Il tratto distintivo delle sue opere prima della guerra era il colore, grandi tele sulle quali stendeva macchie accese di rosso, giallo, viola. Ora la sua arte si è spenta nelle sfumature del bianco e del grigio, lasciando ai soggetti vivi che popolavo i suoi quadri la quasi totale presenza di aerei militari, macerie. I soggetti delle sue opere prendono spunto da quello che vede ogni giorno da oltre un mese: tendopoli, morte, distruzione, disperazione. Ogni tanto spuntano anche delle figure umane e spesso appare anche lui, vicino a sua moglie o intento a stringere forte la mano di suo figlio mentre avanzano sotto le bombe.

Basel Al Maqusi all'interno della tenda che ha costruito a Rafah / Foto Sami al-Ajrami

«Vivevamo vicini al confine e come è successo per ogni guerra sapevamo che gli attacchi israeliani sarebbero iniziati da lì, così ci siamo mossi subito dopo il 7 ottobre e abbiamo raggiunto Gaza City ospiti della fondazione “Window for professionals”, un edificio che ha sempre ospitato delle residenze per artisti di Gaza e dove in passato ho creato e esposto varie volte», racconta Basel.

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Lì sono rimasti per una settimana ma la residenza sorge non lontano dall’ospedale al-Shifa e in seguito ai pesanti attacchi israeliani sono stati costretti a fuggire di nuovo, stavolta verso il Sud. In questo primo periodo da sfollato lo shock per i continui attacchi lo ha bloccato dal dipingere, ma arrivato a Rafah è riuscito a ritrovare la sua vena creativa come una forma di sopravvivenza. All’inizio nel campo c’erano soltanto una decina di tende, oggi sono centinaia e le esigenze delle persone sempre più allarmanti. Così, accanto alla pittura, Basel ha iniziato a lavorare come volontario in una scuola-rifugio che si occupa di assistere psicologicamente i bambini.

Basel Al Maqusi fuori dalla sua tenda a Rafah / Foto Sami al-Ajrami

Dalle 8 di mattina alle 15 il suo ruolo è quello di insegnare loro a dipingere come una forma di arte-terapia che li aiuta a sfogare lo stress e il dolore. Poi torna a casa, dalla sua famiglia, dalla sua arte, dal suo dolore. La vita degli artisti a Gaza anche prima della guerra non era affatto facile, ma la catastrofe che lo aspetta, in un futuro per lui impossibile da vedere ora, è anche quella di sentire di aver perso per sempre il colore.

(Testo raccolto da Benedetta Perilli)

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