Gaza, un milione e mezzo di profughi intrappolati tra il mare e i tank

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto ai suoi generali che c’è un mese di tempo per conquistare Rafah, perché il mese di Ramadan sacro ai musulmani comincia il 10 marzo e la pressione internazionale diventerà così forte da fermare l’invasione della Striscia di Gaza. Ha ordinato all’esercito con un comunicato pubblico di sottoporre al gabinetto di guerra un piano per evacuare la popolazione civile ammassata a Rafah e distruggere i quattro battaglioni di Hamas che si nascondono in quella città. È un annuncio che non era necessario perché l’esercito ha già scritto il piano, ma serviva per ragioni legate alla comunicazione.

Il problema è che le due cose – evacuare e combattere Hamas – non si possono fare, non entrambe allo stesso tempo e forse nemmeno in due fasi successive. Si può chiedere alla folla di palestinesi a Rafah di spostarsi per la sua sicurezza, ma spostarsi dove? Se va verso Nord c’è la spiaggia. Non è dato sapere quanto durerà la battaglia fra le truppe israeliane e Hamas dentro Rafah, ma quanto possono durare centinaia di migliaia di persone accampate sulla sabbia – una striscia sottile di pochi metri – senza acqua, senza energia elettrica, senza cibo, senza fogne, senza cure e senza altro? I combattimenti dentro Rafah e altrove potrebbero andare avanti più di un mese.

Se i civili ammassati dentro Rafah andassero invece a Est tornerebbero in quelle aree della Striscia di Gaza dalle quali sono scappati a causa dei bombardamenti aerei. Muoversi in quella direzione è molto pericoloso, del resto è il motivo che spiega perché un milione e mezzo di palestinesi si è schiacciato nel lembo estremo della Striscia: perché è scappato da zone di combattimento. Ci sono notizie continue di tiri di cecchini israeliani, raid aerei e blocchi stradali da parte dei soldati. Il caso della bambina Hind, uccisa assieme a cinque membri della sua famiglia dentro un’automobile a Gaza City, e dei due volontari della Croce rossa a bordo di un’ambulanza che erano usciti per cercarla e sono stati uccisi anch’essi, esemplifica il livello altissimo di rischio. Ma questa è soltanto una metà del problema.

Se anche i civili di Gaza City riuscissero ad attraversare metà della Striscia e tornare ai loro quartieri, troverebbero in molti casi un panorama lunare al posto delle loro case. Ci sono zone di Gaza City dove le bombe israeliane hanno colpito o distrutto per intero l’ottanta per cento degli edifici – è una spiaggia senza nemmeno l’acqua salata. Di nuovo: niente cibo, niente energia elettrica, poche case e pericolanti.

Se i palestinesi ammassati dentro Rafah muovessero verso Sud andrebbero verso il confine con Israele e precisamente verso il valico di Kerem Shalom, dove centinaia di manifestanti israeliani ogni giorno tentano di bloccare i camion che entrano nella Striscia di Gaza con gli aiuti umanitari. I picchetti di protesta sostengono che il cibo e gli altri beni di necessità non devono arrivare ai palestinesi – a tutti i palestinesi – fino a quando gli ostaggi non saranno restituiti. Non è la direzione giusta da imboccare se sei uno sfollato da Rafah in fuga.

Se infine i palestinesi provassero a spostarsi in massa verso Ovest troverebbero subito il muro di confine con l’Egitto e dopo quello altri sbarramenti che l’esercito egiziano sta rafforzando a ritmo febbrile ogni giorno. Il governo del Cairo è stato molto chiaro in più di un’occasione: non vuole che i palestinesi di Gaza si riversino in Egitto. Al punto da sospettare che il governo israeliano abbia considerato questa ipotesi perché secondo il Wall Street Journal questa settimana un gruppo di militari egiziani è andato in Israele ad avvertire che un’operazione di terra a Rafah porterebbe alla sospensione del trattato di pace fra i due Paesi.

Oltre all’Egitto, altri governi che saranno indispensabili nel dopoguerra come Stati Uniti, Arabia Saudita e Giordania hanno ammonito Israele che una battaglia metropolitana a Rafah in queste condizioni sarebbe un massacro.

E tutto questo non tiene ancora conto di una questione importante: se la popolazione di Gaza si sposta in massa, gli uomini di Hamas si spostano con essa, alcune migliaia mescolate a centinaia di migliaia di persone. Non esiste uno scenario post-evacuazione di Rafah nel quale Hamas resti ad aspettare i tank israeliani fra i palazzi deserti.

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