I riformisti del Pd attaccano Schlein: “Non dovevamo partecipare al voto sul terzo mandato”

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Il Pd non doveva partecipare al voto sul terzo mandato”. Lorenzo Guerini la pensa così. “A questo punto il Comitato deciso in Direzione per trovare una quadra sul tris di sindaci e governatori rischia di essere già morto”, si sfoga Alessandro Alfieri. Entrambi sono riformisti dem. Ma la spaccatura sul terzo mandato nel partito di Elly Schlein non passa per il crinale riformisti/massimilisti. E’ una divisione tra il centro e i territori, tra il gruppo dirigente e i sindaci e governatori. Che però rappresentano radicamento e consensi nel Pd.

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In queste ore l’onda lunga del malcontento subisce uno stop. I sindaci Antonio Decaro, Matteo Ricci e Dario Nardella – testa d’ariete dei favorevoli – così come il governatore Stefano Bonaccini, hanno acconsentito a una moratoria. La sfida è vincere in Sardegna dove i progressisti si presentano con Alessandra Todde in una intesa con i 5Stelle. Il resto verrà dopo. Schlein sente Bonaccini e tiene il punto: “Bonaccini arrabbiato? Dalla Lega solo un emendamento salva-Zaia. Era invotabile. L’impegno nel partito proseguirà, non è finito il mondo, con Bonaccini ci sentiamo sempre, lui è il presidente del partito, continueremo a lavorare insieme come siamo abituati a fare”.

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E Bonaccini fa sapere: “Ora compatti sulla Sardegna, poi dirò cosa penso”. Il presidente dell’Emilia Romagna è un sostenitore della fine del limiti di mandato. L’ha ribadito più volte. Adesso “il modo ancor l’offende”: nella decisione presa dai Dem giovedì in commissione Affari costituzionali del Senato sull’emendamento leghista al Decreto elezioni – ovvero di votare No (con M5Stelle, FdI e Forza Italia) – non è stato tenuto in alcun conto il suo parere né il dibattito in Direzione.

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Prudenti (e silenti) quasi tutti i sindaci dem, che però nella call tenuta in mattinata hanno detto: c’è una grande amarezza soprattutto per la sensazione di essere stati bistrattati nel partito e considerati forse un peso invece che una grande forza. Il Comitato diventa inutile e l’opinione dei sindaci è stata ignorata.

Però è vero che l’emendamento della contesa riguardava i governatori, mentre quello per i sindaci la Lega lo ha ritirato. Come pure è stato ritirato un identico emendamento di Meinhard Durnwalder, con un sospiro di sollievo dei vertici del Pd. Ma il punto è che dal presidente dell’Anci, e sindaco dem di Bari, Decaro era stata inviata nelle scorse settimane una lettera a tutti i parlamentari affinché prendessero iniziative per estendere ai sindaci delle grandi città la possibilità di ricandidarsi per la terza volta consecutiva. Per quelle fino ai 15 mila abitanti il Decreto elezioni lo prevede. L’Anci ha già predisposto una richiesta alle Regioni di rivolgersi alla Corte costituzionale: di fatto si configurerebbe una discriminazione in fatto di elettorato passivo.

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In vista della conta nell’aula del Senato sul terzo mandato dei governatori molte cose accadranno. Scherza un dirigente dem: “Decaro a Bari è come San Nicola, mettergli due dita negli occhi non è stata una buona idea”. Nel No del Pd conta anche la contrarietà di Schlein alla ricandidatura di Vincenzo De Luca in Campania. De Luca però fa sapere che “in Campania il terzo mandato si può fare”. Si smarca dal coro dei sindaci sul terzo mandato, Matteo Lepore, il primo cittadino di Bologna: ”Io non sono interessato a farlo”. Stefano Ceccanti, area riformista, costituzionalista, lo argomenta in punta di diritto: “Nel 1993 si approvò l’elezione diretta per i sindaci prevedendo quattro anni di consiliatura e non cinque, proprio perché l’elezione diretta porta con sé una concentrazione di potere”. Andrea Orlando, ala sinistra dem, ragiona: “Ho sostenuto la proposta unitaria in Direzione e credo che questo confronto vada tenuto ancora aperto. Però è assurda una polemica del genere a due giorni dal voto in Sardegna e a due settimane del voto in Abruzzo. E poi, guardando i numeri in commissione al Senato, il voto del Pd era del tutto ininfluente per mandare sotto il governo sul terzo mandato”. D’accordo con la strada intrapresa l’ex presidente della Affari costituzionali, il dem Dario Parrini: “Non è un tabù alzare il numero dei mandati ma a condizione che ci siano contrappesi, che sia nell’ambito di un riordino organico. Non può essere uno strumento serio un emendamento leghista cucito sul desiderio di Luca Zaia di fare il quarto mandato”. Il Pd dovrà parlarne nel gruppo parlamentare e in segreteria prima del voto in aula.

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