Ilaria Salis, l’ostaggio

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Il taxi corre su viale Teréz körút, nel centro di Budapest. I palazzi in stile austro-ungarico, il Danubio a pochi metri, la pioggia gelida. Sono le 16.25 dell’11 febbraio 2023. L’auto viene inseguita e fermata da una pattuglia della polizia ungherese. I tre passeggeri sono fatti scendere. Mostrano i loro passaporti, in silenzio. Due sono cittadini tedeschi, si chiamano Tobias Edelhoff (30 anni) e Anna Christina Mehwald (28 anni). Sono fidanzati. La terza è un’italiana di 39 anni, di Monza. Si chiama Ilaria Salis. I poliziotti li perquisiscono, frugano nel taxi, c’è qualcosa tra i sedili posteriori. È un manganello telescopico, da difesa. «E questo?», chiede in ungherese l’agente un attimo prima di comunicare ai tre che sono in arresto.

Un caso internazionale

La detenzione e il processo ungherese di Ilaria Salis sono un caso internazionale. Per le condizioni in cui la donna da un anno è costretta nel carcere di massima sicurezza di Gyorskocsi Ucta, a Budapest: in catene, in una cella con topi, cimici e scarafaggi. E per l’imputazione che la riguarda: rischia più di 20 anni perché accusata di aver partecipato al pestaggio di un ungherese e di due tedeschi, neonazisti, durante la commemorazione per le SS tedesche. Aggressione che si è risolta con lesioni guaribili in 5 e 8 giorni. E per la quale gli aggrediti non hanno mai sporto denuncia.

Il caso è soprattutto una grana per il governo italiano. Perché Ilaria Salis è una convinta e dichiarata antifascista. E perché il premier ungherese Viktor Orbán, teorico della “democrazia illiberale”, leader di un governo liberticida che tra le altre cose non garantisce i diritti dei detenuti, è anche l’alleato europeo più stretto di Giorgia Meloni.

“L’antifascismo come pratica quotidiana”

Degli ultimi 12 mesi di vita da reclusa di Ilaria Salis sappiamo molto. Dei 38 anni e mezzo precedenti quasi nulla. Suo padre Roberto — 58 anni, ingegnere sardo, una breve avventura politica come candidato alle regionali del 2013 con Oscar Giannino — ne protegge la sfera privata. I compagni Antifa quella, diciamo così, pubblica: la militanza. Salis, con un diploma classico e una laurea in Storia antica, è una supplente, una precaria. Prima maestra elementare, poi professoressa alle medie di Como e di Milano. La chiamano “l’anarchica”, ma per idee e appartenenza Ilaria Salis anarchica non è. O almeno non più. «Ne ha preso le distanze da qualche anno», spiega il padre. Ilaria Salis è però un’attivista, un’antagonista, un’Antifa dell’ala più radicale dei centri sociali di Monza e di Milano. Quell’ala che tradizionalmente rifiuta contatti con la stampa e comunica attraverso siti e blog di area. Dove si parla di “repressione”, di “autodifesa dai gruppi neonazisti che non va delegata”. Di “antifascismo come pratica quotidiana”.

L'ambasciatore italiano in Ungheria Manuel Jacoangeli esce dal Ministero della Giustizia ungherese, dopo un incontro sul caso di Ilaria Salis. Budapest, 30 gennaio 2024

La trasferta

Monza, 9 febbraio 2023

Al corteo antifascista di Budapest, organizzato per contrastare quello neonazista nel “Giorno dell’onore”, Ilaria Salis decide di partecipare già il 5 gennaio. Online acquista il biglietto Milano-Vienna-Budapest. La partenza è fissata il 9 febbraio, l’arrivo in Ungheria è previsto per la mattinata del 10. A casa non sanno nulla. «Mia figlia ha 39 anni, non viene a raccontare a me cosa fa», spiegherà il padre, Roberto Salis. «È andata a Budapest perché è un’idealista», dirà la zia Carla Rovelli. Con Ilaria Salis c’è un gruppo di dieci persone. Stessa destinazione, stessi ideali. Età e provenienze diverse: gli altri hanno poco più di vent’anni, tedeschi per la maggior parte, ma ci sono anche un siriano e un albanese. Almeno due sono italiani: Gabriele Marchesi e Romeo Anselmi. Marchesi ha 23 anni, è di Milano. Oggi è ai domiciliari per il mandato di arresto europeo emesso nel novembre scorso dalle autorità giudiziarie di Budapest. La Corte d’Appello di Milano, per ora, non ha concesso l’estradizione. Di Romeo Anselmi, anche lui 23enne, si sa poco e niente.

Roberto Salis davanti all'ambasciata italiana a Budapest. 30 gennaio 2024

Una vergogna chiamata Giorno dell’Onore

Castello di Budapest, 9 febbraio 2024

La trasferta è stata organizzata a distanza, attraverso una chat di area. Ilaria Salis ha comprato i biglietti per tutti. Della contro-manifestazione di Budapest ne parlavano da tempo, perché il “Giorno dell’Onore” è qualcosa di intollerabile. Inimmaginabile, al centro di un’Europa che si dichiara unita e antifascista. «A febbraio del 1945 migliaia di soldati ungheresi, che combattevano con le SS, furono trucidati dall’Armata rossa», racconta Szasz Zsombor, giovane consigliere municipale, davanti al Castello di Budapest, nella piazza dedicata a San Giovanni da Capestrano. «Non si arresero ma decisero di restare qui, su questi boschi, per difendere il nostro Paese. Fu un gesto nazionalista. Che io, da antifascista, credo sia giusto ricordare». «Dal 1997 però — prosegue Zsombor — è diventato un momento di nuovo orrore. I neonazisti si sono presi questo pezzo di memoria e l’hanno manipolata. Si danno appuntamento per una rievocazione storica da brividi. All’inizio era un piccolo corteo, oggi arrivano a centinaia e rimangono per giorni». L’evento clou è organizzato dai naziskin di Legio Hungaria ogni 10 febbraio. Si tiene in un posto segreto, comunicato solo qualche ora prima.

L'opera dell'artista di strada "Laika" dedicato a Ilaria Salis

Le aggressioni

Budapest, 10 febbraio 2023

Sono passate da poco le 10 del mattino quando alla stazione di Budapest arriva il diretto da Vienna. Undici persone scendono insieme. “Il gruppo — si legge in un’informativa della polizia ungherese — si sposta a Buda, nella piazza Szell Kalman”. Qui, secondo l’accusa, incrociano Zoltán Tóth, ungherese, simpatizzante neonazista. “Uno di loro lo avvicina e gli chiede se parteciperà alla ‘Giornata dell’onore’. Lui nega, entra in un ufficio postale. Quando esce, verso le 12:25, è aggredito con 13 manganellate in testa”. La violenza è ripresa da una telecamera di sorveglianza. Le persone che colpiscono hanno il volto coperto. Secondo alcune testimonianze, Ilaria Salis è tra loro. Tóth “riporta ferite alla testa, alla fronte, al collo e agli occhi guaribili in 8 giorni”, scriveranno i medici nel referto.

Il gruppo si disperde. Ilaria Salis riappare dieci ore dopo in una birreria dell’XI distretto dove è in programma un concerto a porte chiuse pubblicizzato sulle chat neonaziste. Gli antifascisti sono in sei. A mezzanotte pagano il conto ed escono dal locale. “Seguono due ragazzi tedeschi, Robert Fischer e Sabine Brinkmann, e li aggrediscono davanti al loro alloggio procurandogli ferite guaribili in 5-6 giorni”, riporta l’informativa.

L’arresto e le accuse

Budapest, 11 febbraio 2023

Il nuovo appuntamento è dodici ore dopo. Alle 15:30 dell’11 febbraio in piazza Batthyany, centro della città. Ilaria e i suoi amici si accorgono di essere seguiti da agenti in borghese. E provano a scappare: Ilaria sale al volo su un taxi con la coppia di fidanzati tedeschi, sono le 16:25. «Ero spaventata, non voleva essere una fuga», dirà lei. Qualche istante dopo l’auto è bloccata da una volante. Polizia. Sono tutti in arresto. A Salis contestano, oltre alle due aggressioni, di essere legata ad Hammerbande, formazione antifascista tedesca che nei due anni precedenti ha affrontato i neonazi a Budapest. “Si sono posti come obiettivo quello di organizzare spedizioni punitive, mediante attacchi programmati, in modo da provocare gravi lesioni fisiche ai militanti dell’estrema destra”. Nel processo di Lipsia su Hammerbande si descrivono tecniche di attacco, allenamenti specifici e modalità di intervento preordinate: vestiti a strati per evitare di essere riconosciuti, assalti che non devono durare mai più di 30 secondi, utilizzo di spray urticante per fughe più rapide. Ma Ilaria Salis, con tutto questo, che c’entra?

Tre cose che non tornano

La polizia ungherese è convinta che la 39enne faccia parte del gruppo tedesco. Ma troppe cose non tornano. La prima: i tedeschi affittano un appartamento nel centro di Budapest, “come base di azione”. Ilaria Salis non entra mai in quella casa. La seconda: l’intelligence italiana non rileva alcun collegamento tra lei e Hammerbande. La terza: nel processo di Lipsia, appena terminato con una condanna, il suo nome non compare. Non ci sono contatti o messaggi in chat o telefonate tra l’insegnante italiana e i militanti tedeschi del gruppo indagato.

Inni al Duce in questura

Teve Utca, Budapest, 11 febbraio 2023

“Quando il furgone si ferma nel parcheggio della Questura, la sera inizia ad avvolgere i palazzi. “Antifa? Duce! Mussolini!” — questa è l’accoglienza che ricevo nell’atrio e sono anche le ultime parole che riesco a comprendere prima di essere travolta dalla Babele ugro-finnica. Nell’ufficio nessuno sembra preoccuparsi del fatto che sono ancora ammanettata stretta dietro la schiena, ma in compenso continuano a ripetere una sola parola: “Anya? Anya?” e mi fissano come se si aspettassero da me una risposta. Chi potrebbe immaginare che in ungherese “anya” significa “mamma” e che il nome della madre in Ungheria è un elemento fondamentale per identificare le persone al pari della data di nascita? Poi i ricordi si fanno concitati. Tre giorni di fermo e spostamenti ripetuti: Cegléd e poi di nuovo Budapest. Il tribunale e mi mandano in galera. Davvero, galera”.

(Estratto da una lettera che Ilaria Salis ha scritto ai genitori)

“Nella città dolente”

Carcere di Nagy Ignac utca, Budapest, 14 febbraio 2023

“La città, i palazzi, il fiume, il cielo…tra poco tutto questo sparirà e si materializzerà davanti ai nostri occhi un altro mondo infero e dimenticato. Il fragore della carraia che si apre lentamente. “Per me si va nella città dolente” e noi entriamo a piedi. Sostiamo a lungo nell’androne: le guardie della scorta devono depositare le armi e le interpreti i telefonini. Mi invade un vuoto prepotente e il tempo inizia a dilatarsi. I colori tetri e stinti, la penombra, l’aria viziata, latrati dei carcerieri, i rituali di ingresso: tutto questo spettacolo rimarrà impresso con tinte sinistre dentro di me. (…) Un furgone fa manovra e dicono che devono trasferirmi in un altro carcere. È buio pesto, sono sfinita e confusa e mi sembra tutto assurdo”.

(Estratto da una lettera che Ilaria Salis ha scritto ai genitori)

Ilaria Salis, l’ex-compagna di cella: “Legate come cani in condizioni disumane. Governo Orban mente”

Gli anni del Boccaccio

Monza, primi anni 2000

A Monza nei primi 2000 c’è un luogo che stona col resto della città. Il centro sociale Boccaccio. Un’ex fabbrica nella stessa strada in cui tanti anni prima i nazisti hanno fucilato tre partigiani nella neve. Coi compagni del Boccaccio Ilaria Salis cresce, un’occupazione dopo l’altra. In vent’anni il centro sociale cambia sede dodici volte. L’insegnante è ancora con loro nel 2017. Vestita di nero, con uno zaino fucsia, sfila con gli antifascisti a Monza per protestare contro Lealtà e Azione, l’estrema destra dei saluti romani e del volontariato. Dietro lo striscione “Ai nostri posti ci troverete” si canta “10,100,1000 Acca Larentia”, alcuni volti sono coperti. Sul tragitto c’è un gazebo della Lega, viene preso di mira: il banchetto vola a zampe in su, sedie rovesciate, bandiere strappate. Ilaria Salis, però, a differenza di quanto sosterrà anni dopo Matteo Salvini, non partecipa all’assalto.

Alla polizia italiana è nota: 29 volte segnalata all’autorità giudiziaria, 4 volte condannata per reati “di piazza”. Occupazioni abusive, manifestazioni, picchetti, sgomberi. Finisce anche, di striscio, nelle carte dell’inchiesta antiterrorismo “Bialystok” sulla Federazione anarchica informale per aver parlato al telefono con Roberto Cropo, estradato in Francia nel 2020. Ma è solo un nome sui tabulati: Ilaria Salis non è coinvolta.

Budapest, Ilaria Salis in aula per il processo: legata mani e piedi e tenuta al guinzaglio

Una donna al guinzaglio

Carcere di massima sicurezza di Gyorskocsi Ucta, Budapest, ottobre 2023

Per sei mesi alla detenuta Ilaria Salis non è concesso di comunicare con la famiglia. Solo il 2 ottobre riesce a far arrivare ai genitori una lettera in cui racconta ciò che sta passando. “Mi sono trovata senza carta igienica, sapone e assorbenti (perché sfortunatamente avevo anche il ciclo) fino al 18 febbraio”; “sono stata costretta a indossare abiti sporchi e un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia, ho dovuto partecipare all’udienza di convalida così abbigliata”; “per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica”.

Ma è la descrizione del modo in cui è costretta ad assistere alle udienze preliminari a far rieccheggiare i report delle organizzazioni umanitarie sulle condizioni inumane della carcerazione in Ungheria. E i tanti pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo e del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. “Oltre alle manette qui ti mettono un cinturone di cuoio con una fibbia a cui legano le manette, anche i piedi sono legati tra loro: due cavigliere chiuse con due lucchetti e unite tra loro da una catena di 25 centimetri. Poi mettono un’ulteriore manetta a un solo polso, a cui è fissato un guinzaglio di cuoio tenuto in mano dall’agente della scorta, si rimane legati così durante tutta l’udienza e l’esame svolto dall’antropologo”.

Salis, La Russa incontra il padre: “Vicinanza immediata, ambizione è che possa stare in Italia”

La sottovalutazione

Ambasciata italiana a Budapest, febbraio 2023

Ilaria Salis si trova in una cella da otto posti nel carcere di massima sicurezza in attesa di giudizio. Fuori da questo palazzo con le mattonelle rosse, che un tempo è stato sede della Gestapo, sventola — quasi una provocazione — la bandiera dell’Europa anche se tutto quello che avviene all’interno non è esattamente ciò che l’Europa vorrebbe. Ilaria Salis non sta bene. Prende carta e penna e invia una prima lettera all’ambasciata, chiedendo il loro intervento. L’ambasciatore, Manuel Jacoangeli, è arrivato a Budapest da due anni. È un diplomatico esperto, figlio di diplomatico, alla prima esperienza da ambasciatore in una sede, dopo aver lavorato come consigliere diplomatico in tre ministeri, dal 2017. Gli viene riferito dell’arresto della donna, ma non vi presta l’attenzione che merita. E infatti non risulta aver segnalato il caso alla Segreteria generale del ministero della Giustizia, a Roma.

Nessuno, nell’ambasciata italiana di Budapest, si rende conto che la storia dell’insegnante è diversa da quella degli altri italiani allora detenuti in Ungheria — una ventina: per lo più trasportatori accusati di traffico di essere umani, perché fermati al confine con i migranti a bordo dei loro camion — e che può mettere in discussione i rapporti tra l’Italia e l’Ungheria. Tra l’Ungheria e l’Unione europea. Il caso Salis viene trattato come un fascicolo da mettere in fondo a una pila di altri fascicoli.

Orbán su Ilaria Salis: “Le sarà garantito un trattamento equo, ma in Ungheria la magistratura è indipendente dal governo”

La denuncia di Repubblica

Budapest, 16 dicembre 2023

La mattina del 16 dicembre, dal ministero della Giustizia, chiamano l’ambasciatore Jacoangeli. «Ma che cos’è questa storia?», gli viene chiesto. Repubblica quel giorno esce con una pagina su Ilaria Salis “che da quasi un anno urla nel silenzio”. Nell’articolo è stato dato conto delle lettere che Roberto Salis aveva inviato alla premier (22 marzo), al ministro della Giustizia (1 dicembre) e ai presidenti di Camera e Senato (10 dicembre). Nessuno aveva mai informato la Farnesina della delicatezza della vicenda. Non il ministro, e il suo gabinetto politico. Non la divisione che si occupa proprio degli italiani all’arresto, un fiore all’occhiello della nostra diplomazia. Viene chiesta una prima informativa, all’esito della quale si muove direttamente il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il Guardasigilli Carlo Nordio.

È proprio Nordio, il 23 gennaio, a incontrare per la prima volta il padre di Ilaria (l’ambasciatore, invece, non li aveva mai ricevuti). Mentre Tajani, in occasione del consiglio europeo degli Affari esteri del 22 gennaio, chiede al collega ungherese informazioni sulla detenzione. «Ho sottolineato che la signora Salis lamentava di avere difficoltà nell’accesso agli atti processuali tradotti e ai video prodotti come prova a suo carico. E ho sottolineato che il governo italiano esige il rispetto dei diritti e delle garanzie previste dalle norme europee, in sintonia con la nostra civiltà giuridica. Ho inoltre sottolineato l’auspicio di una revisione del regime di custodia cautelare. concedendo alla detenuta misure alternative».

Salis, il padre replica a Salvini: “Gli auguro che suo figlia abbia decimo dell’etica della mia”

In aula in catene, ancora

Gyorskocsi Ucta, 29 gennaio 2024

A Budapest non è ancora giorno. Ilaria Salis viene svegliata, indossa un paio di jeans, scarpe da ginnastica bianche e un maglione colorato. Alle 6 di mattina viene spostata in una cella di 90 centimetri per 120. Alle 9 una guardia della penitenziaria e due agenti di un corpo speciale con mephisto, mimetica e giubbotto antiproiettile entrano, raccolgono il guinzaglio di cuoio che ha legato al polso e la trasportano nell’aula del tribunale per la prima udienza del suo processo. Quel che finora era solo stato raccontato, adesso si vede. Ilaria Salis cammina a fatica, ha le caviglie strette da due ceppi di cuoio unite tra loro da una catenella di 25 centimetri che le consente solo goffi e minuscoli passi. È ammanettata, ha i lividi dell’acciaio sotto l’orlo della manica. Dietro di lei c’è l’agente che per altre tre ore e mezzo la tiene al guinzaglio. Sorride, perché dopo 11 mesi vede sua madre e suo padre senza un vetro di plexiglas in mezzo.

A 1.200 chilometri di distanza, invece, si sorride meno. Le immagini suonano l’allarme rosso per chi, dentro Palazzo Chigi, progettava di tenere un profilo basso per non interferire nelle buone relazioni con il governo amico di Orbán. Si muove direttamente Giorgia Meloni: chiede informazioni prima al ministero degli Esteri e poi ai servizi di intelligence. Qualcuno le mostra il video che secondo gli ungheresi rappresenta la prova regina della colpevolezza di Ilaria Salis. La premier capisce che la strada è strettissima. Internamente — dove la Lega e anche un pezzo del suo partito, a partire dagli uomini a lei più i vicini a Palazzo Chigi non hanno alcuna voglia di prendere una posizione pubblica a favore di un’antifascista — e nei rapporti col governo dell’Ungheria.

«Avete visto? Non ero un pazzo quando raccontavo che mia figlia veniva trattata come un animale», sbraita Roberto Salis. Ora il governo non può più far finta di nulla, non può silenziare lo sdegno pubblico per un’italiana umiliata in un’aula di giustizia di un tribunale europeo. È sera quando Meloni sente Orbán, i due si incontrano l’indomani a Bruxelles. I toni però sono cauti e la trattativa passa soprattutto dall’azione diplomatica perché per il governo Ilaria Salis non può diventare quello che ormai già è: un caso politico. La Farnesina convoca l’ambasciatore ungherese a Roma ma si affretta a dire che «la magistratura magiara è sovrana, possiamo chiedere solo il rispetto per il trattamento dei detenuti». I genitori di Ilaria incontrano, per la prima volta dall’inizio di questa storia, l’ambasciatore italiano a Budapest. La Russa, Nordio e Tajani fissano altri incontri con la famiglia. La vista delle catene ai polsi e alle caviglie di Ilaria Salis hanno rotto il silenzio delle istituzioni.

Ilaria Salis, il padre:”Il governo ci ha lasciati soli, non farà nulla. Mia figlia starà in galera”

La lite con Nordio e Tajani

Roma, 5 febbraio 2024

Chi si aspettava una svolta celere, però, resta deluso. Ha vinto la linea dura, quella di Fratelli d’Italia e della Lega. In via Arenula gli uffici avevano provato a battere una strada complessa, ma possibile: schierare cioè il governo al fianco di Ilaria Salis e dare rassicurazioni all’Ungheria per ottenere i domiciliari in Italia. Ma l’operazione viene fermata dalla politica: «Si creerebbe un precedente», dicono. Volendo in realtà intendere che non è il caso di aprire un fronte con l’Ungheria e con la destra europea su un’antifascista, invisa a tutta la loro base elettorale. All’uscita dal ministero della Giustizia, in via Arenula a Roma, Roberto Salis è furibondo: «Mi sento preso in giro».

Negli incontri, prima con Tajani e poi con Nordio, i toni sono stati accesi. Dentro i palazzi il padre di Ilaria urla. Fuori denuncia: «Siamo stati lasciati soli». Dal governo avrebbe voluto una lettera di garanzie da far pervenire al tribunale ungherese insieme alla richiesta di concessione degli arresti domiciliari in Italia o all’ambasciata italiana di Budapest. E invece niente. Dall’Italia restano solo le rassicurazioni per un trattamento carcerario meno degradante e più umano. «Un’interlocuzione epistolare tra un dicastero italiano e l’organo giurisdizionale straniero sarebbe irrituale e irricevibile», rispondono i due ministri. Tecnicamente impossibili pure i domiciliari in ambasciata: «Ragioni di sicurezza nazionale». «Chiedeteli in Ungheria — suggerisce il governo ai legali — Perché non lo avete già fatto?». Una decisione quadro della Ue del 2009 afferma il reciproco riconoscimento delle misure di custodia cautelare tra paesi comunitari. Secondo gli avvocati di Salis significa che Ilaria può essere riportata subito in Italia, secondo Nordio che bisogna prima passare dai domiciliari a Budapest. Ma la donna lì non ha alcun domicilio e non si sa dove mandarla.

Monza, ecco il video del gazebo della Lega distrutto che dimostra l’innocenza di Ilaria Salis

Ilaria impiccata sui muri di Budapest

I genitori sarebbero pure disposti a prendere una casa, ma che sia sicura. Sui muri di Budapest appare uno stencil di Ilaria Salis impiccata, nelle chat Telegram e nei forum dei neonazisti ungheresi le minacce: “Ti spacchiamo la testa”, “Ti riduciamo su una sedia a rotelle”. Il governo però non ha intenzione di creare una corsia preferenziale per una dei 2.400 italiani nelle carceri straniere. Un’antifascista poi, contro la quale l’Ungheria è certa di avere solide prove. Roberto Salis non è rassegnato, ma scuote la testa: «Mia figlia resterà ancora per molto tempo in prigione e la vedremo ancora in catene ai processi». La prossima udienza è fissata a maggio, il processo calendarizzato già per almeno un anno. Se non si dichiara colpevole, Ilaria Salis resterà in cella fino ad allora.

Epilogo

Budapest, 10 febbraio 2024

È una bella giornata di sole. Nonostante qui attorno sia tutto nero. I neonazisti stanno salendo lungo i tornanti che portano alla bandiera ungherese, su al Castello, per festeggiare il loro Giorno dell’onore. Sono tanti. Quattromila, dicono. Si muovono in silenzio, tra croci celtiche e vecchie divise delle Ss. La polizia li osserva. In lontananza si sente il rumore del corteo organizzato dagli antifascisti, tenuti a distanza da centinaia di agenti in assetto da sommossa. “Siamo tutti antifascisti”, gridano, in italiano. Ilaria Salis non è sola.

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