L’alga infestante del Pacifico è arrivata in Italia. I biologi: “Danni all’ecosistema”

Pubblicità
Pubblicità

Un’alga non indigena, originaria del Pacifico nord-occidentale e ampiamente diffusa in Asia, ha invaso il golfo di Palermo. E preoccupa i ricercatori del dipartimento di Scienze della terra e del mare (DiSTeM) dell’Università: «Rappresenta una delle principali minacce alla biodiversità e al funzionamento degli ecosistemi negli habitat costieri», dicono gli esperti. Si chiama Rugulopteryx okamurae: «A nostra conoscenza si tratta della prima segnalazione lungo le coste italiane», precisano i biologi marini Agostino Tomasello e Giancarlo Bellissimo. In sostanza provoca danni sia alla flora che alla fauna marina ma anche alla pesca e alle attività balneari.

Era stata trovata in Francia nel 2002 e nel 2016 nello Stretto di Gibilterra. Da allora, si è diffusa rapidamente lungo le coste andaluse (Spagna meridionale) colonizzando i fondali da zero a cinquanta metri e generando notevoli impatti economici e ambientali. In Italia non era mai accaduto, così Palermo potrebbe rappresentare la sentinella di un’invasione che rischia di espandersi da qui ai prossimi anni.

Copyright 2020

Inizialmente l’alga era stata confusa con alcune specie morfologicamente simili ma anche con foglie di posidonia oceanica che si trovano comunemente spiaggiate sulla battigia lungo le coste siciliane. In estate aveva creato qualche fastidio per i bagnanti che frequentano il litorale bagherese di Aspra. Il Comune di Bagheria si era anche attivato per eliminarla dalla spiaggia. Tra l’altro, sempre in Sicilia, nella zona “Secche di Solanto”, nel Comune di Santa Flavia, a diciotto chilometri da Palermo, c’è un tesoro: il reef di Posidonia, la barriera naturale che si è formata nel corso degli ultimi 1500 anni. La più antica nell’Isola finora datata dagli scienziati.

Sono stati gli approfondimenti condotti dal gruppo di biologi marini delle Università di Palermo, Málaga, Granada e Oxford, e del Consorzio nazionale interuniversitario per le scienze del mare, ad appurare che stavolta la posidonia non c’entrava proprio nulla. I biologi hanno così identificato il nome dell’alga invasiva. «Si tratta di una macroalga bruna appartenente alla famiglia delle Dictyotaceae e originaria del Pacifico nord-occidentale. In particolare, R. okamurae è stata anche la prima e unica specie di macroalghe a essere inclusa nell’elenco delle specie esotiche invasive di notevole rilevanza dell’Unione europea, i cui effetti negativi sull’ambiente e la biodiversità in ambito europeo sono così gravi da richiedere un intervento concertato degli Stati membri dell’Unione europea. Non solo per i suoi effetti dannosi sulla biodiversità, ma anche per le implicazioni socio-economiche della sua rapida diffusione, con perdite finanziarie stimate in diversi milioni di euro».

I risultati della ricerca compariranno a breve in forma di pubblicazione su una rivista scientifica. Sulla base delle evidenze emerse da precedenti studi è ragionevole prevedere che l’alga possa espandersi ulteriormente lungo le coste della Sicilia e poi nel Mediterraneo centrale e orientale. Si tratta di un’area altamente favorevole al suo insediamento, soprattutto nell’attuale scenario climatico. «Al momento, tenuto conto dei diversi sopralluoghi di carattere puntiforme condotti lungo le coste della Sicilia, sembrerebbe che il fenomeno sia circoscritto al Golfo di Palermo», dicono i biologi marini.

Tuttavia, i ricercatori non escludono che «l’attuale distribuzione possa essere sottostimata. Occorrerebbe infatti una più ampia e densa campagna di rilevazioni per migliorare le conoscenze sul processo di diffusione in atto». A questo punto sarà importante individuare le migliori strategie da mettere in campo per il monitoraggio del fenomeno e l’implementazione di misure di contrasto all’espansione della specie. «L’arrivo della specie in questa nuova area – si legge nell’articolo scientifico di prossima pubblicazione – è suggerito dalle correnti marine e dal traffico marittimo, comprese le attività di pesca. Questi risultati sono un avvertimento che la specie può coprire grandi distanze marine favorita dalle correnti marine, minacciando così anche gli ecosistemi e le risorse marine del Mediterraneo centrale e orientale».

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *