L’appartamento, la fine di Michelle Causo e il carrello: l’orrore di Primavalle in 400 passi

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Quaranta scalini. Poi trecentocinquanta metri, più o meno quattrocento passi. È la distanza che O., il 17enne arrestato dalla polizia per il brutale femminicidio della giovane Michelle Causo, ha percorso nel tentativo di disfarsi del cadavere della coetanea.

Dall’appartamento al secondo piano di via Giuseppe Dusmet, adesso sotto sequestro, l’assassino ha sceso le scale con il corpo della vittima in un sacco. Maldestramente, facendosi riconoscere e notare da buona parte del quartiere. Basta bussare alle porte dei vicini di O. per averne le prove. «Ho visto questo ragazzo con un grande sacco nero aperto alla fine, da cui uscivano dei vestiti. Mutande, calzini… di tutto e di più», racconta un’inquilina del palazzo che, in quel momento stava tornando a casa dal lavoro: «Ero con mio figlio piccolo e il passeggino. Lui mi ha fatto passare, era sicuramente molto agitato». Anche un altro inquilino di via Dusmet lo ha incontrato: «Mi ha detto di passare, il sacco bloccava l’usciva».

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Nel frattempo, sulle scale e sul corrimano, impossibile non notare le macchie di sangue. Anche in questo caso è una delle dirimpettaie di O. a ricordare, ancora sotto shock, il momento della scoperta delle chiazze. Le lacrime le bagnano le guance: «Com’è possibile? Come si può sopportare tutto questo orrore?».

Bisognerebbe entrare nella testa del killer. Capire in quali condizioni psichiche fosse quando ha pensato di poter far sparire il corpo della sua vittima senza lasciare tracce. Dalla fine dell’ultima rampa del palazzo, fino ad arrivare all’esterno dello stabile, O. ha percorso un piccolo corridoio. È uscito in strada e, secondo la ricostruzione degli investigatori, si è diretto in via Stefano Borgia.

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Per arrivare lì, dove il corpo di Michelle Causo è stato ritrovato all’interno di un carrello, abbandonato, ci vogliono cinque minuti a piedi. Un tempo interminabile. Sotto il sole, davanti agli occhi di decine di passanti.

«Il carrello lo hanno portato nel pomeriggio, perché la mattina non c’era», conferma una signora che abita vicino ai cassonetti a cui è stato ritrovato. «Quando l’ho visto, stavo andando ad aprire quel sacco nero. Volevo toglierlo di torno, perché io pulisco tutti i giorni il marciapiede e ho pensato “hanno buttato un’altra cosa qui”. Ho visto quel carrello, con un telo che avvolgeva qualcosa e il sacco nero. Mentre stavo andando a vedere cosa ci fosse dentro, è arrivata la polizia». Giusto in tempo per evitare alla donna una scena terribile.

Un’idea che comunque non va via, che rimarrà impressa nella memoria collettiva di Primavalle. «Ho l’immagine di quel sacco impresso nella testa da ieri», racconta un’altra residente. Una via, un quartiere, una città senza più parole. Che si chiede come sia possibile anche soltanto immaginare un tale abominio. Pensare di far sparire il corpo di una ragazza tra i rifiuti approfittandosi di una Capitale sommersa dalla spazzatura.

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Terminati i 400 passi, ci si ritrova accanto al luogo in cui è stato ritrovato il cadavere. I residenti lasciano fiori, peluche e pensieri per Michelle.  «Finché vivi nei nostri ricordi sarai sempre con noi», scrive su un biglietto una sua amica. Il dolore di un quartiere che si stringe attorno all’ennesima vittima di femminicidio è nelle parole semplici di una ragazza della stessa età di Michelle.

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