L’Italia costretta a fare i conti con la piaga dell’abbandono scolastico

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“Non c’è possibilità di sviluppo in un Paese che ha percentuali di dispersione scolastica intorno al 20%. Un ragazzino che si perde e finisce in circuito penale costa allo Stato quattro volte di più di quello che costerebbe se fosse inserito in un programma di recupero scolastico”. E’ lapidario il giudizio di Andrea Morniroli sull’istruzione in Italia. Come coordinatore, insieme a Fabrizio Barca, del Forum delle disuguaglianze e diversità, l’organismo per l’equità che fa incontrare mondo della ricerca e cittadinanza attiva, Morniroli indica nella situazione della scuola il vulnus della mancata crescita del Paese. Puntando il dito sulla politica tutta.

“La povertà educativa incide sul Pil del paese intorno al 4%” prosegue riportando l’attenzione sul primo punto della lista di 15 proposte lanciate in passato dal Forum per “soccorrere” istituzioni e governanti nel cammino verso la giustizia sociale: “La conoscenza come bene pubblico globale”.

(qui sotto il link per le 15 proposte per la giustizia sociale del Forum) https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2020/03/15-Proposte-in-pillole.x84368.pdf

E dunque a che punto siamo sull’attuazione delle proposte? “Il clima politico generale non è attento a queste tematiche. Ma mentre a livello locale, su alcuni terreni come transizione ecologica o piattaforma di lavoro dei rider, si riescono a trovare modi di interloquire, rimane una distanza netta con la politica nazionale trasversale a tutti gli ultimi governi. Le cose migliore che stanno capitando sul paese sono governate da amministratori locali, associazioni profit a no profit”.

Intanto ci si divide sul reddito di cittadinanza, visto da taluni come opportunità per risalire la china per i ceti più deboli e da altri come mero strumento di consenso elettorale e di “sostegno” all’indolenza. “I primi segnali  che arrivano dal governo Meloni su disuguaglianze e povertà – prosegue l’esperto – non rassicurano. Le indicazioni della ultima legge di bilancio penalizzano i poveri come se essere poveri fosse una colpa. Togliere il reddito cittadinanza, ad esempio, apre uno scenario pericolosissimo. Con la crisi disuguaglianze e povertà sono cresciute, le persone hanno ansia di arrivare non a fine mese, ma a fine giornata; se le lascio da sole è finita. Il problema non è il reddito ma che ci sia lavoro precario, nero e povero così diffuso. E’ normale che a un ragazzo venga proposto uno stipendio a tempo determinato di 400 euro al mese? Lo si costringe a scegliere il reddito”

Addio ascensore sociale

Nel nostro Paese davvero l’ascensore sociale è fermo. E dunque, oltre al lavoro e alla possibilità di compiere studi all’estero, negli strati più disagiati della popolazione anche l’indigenza si trasferisce da padre in figlio.

Secondo l’ultimo Rapporto Caritas, la  povertà intergenerazionale ha caratteristiche ben precise. La mobilità sociale funziona prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; gli altri invece rimangono attaccati ai cosiddetti “sticky grounds e sticky ceilings” pavimenti o soffitti appiccicosi da cui non c’è possibilità di staccarsi per migliorare. Il rischio dunque di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità, è di fatto molto alto. Ma, oltre al reddito, si eredita anche e il livello di istruzione. I poveri provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti e sono proprio i figli di queste persone a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare. Tra i figli di persone con la laurea invece, oltre la metà arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea.

Nessuna uguaglianza senza istruzione

E’ l’ istruzione la leva più efficace per ridurre le disuguaglianze e costruire società eque. Ma purtroppo i più giovani, complice la pandemia, hanno visto diminuire le proprie competenze e limitare le attività legate allo sviluppo relazionale. Il ricorso obbligato alla didattica a distanza e a quella integrata ha comportato difficoltà sia per le scuole che per gli studenti e ha generato ulteriori differenze tra territori e ordini scolastici.

“Altro che scuola del merito – incalza Morniroli – A 50 anni da Don Milani la povertà educativa, esplicita e implicita, aumenta. Oltre a ragazzi che lasciano la scuola ma ci quelli che non raggiungono competenze di base per trovare lavoro. E fra tutti raggiungono percentuali medie del 10%, 17% mezzogiorno e addirittura 22% in Sicilia. Oltre al fatto grave  che il 90% di questi sono i figli dei figli dei poveri. La scuola rinuncia a esser ascensore sociale, alla sua funzione di rimuovere ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana. Invece di tagliare la spesa alla scuola per il calo demografico bisognerebbe portarla almeno alla media europea. Servono azioni di prevenzione dell’abbandono: allungare il tempo pieno su tutto territorio nazionale, attuare la co-presenza degli insegnanti. Quello che non si capisce è che disinvestire sulla scuola, sul welfare e sul contrasto alla povertà non solo non è morale ma non nemmeno è conveniente dal punto di vista economico”.

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