Macellaio sequestrato in piazza Navona: “Pistola puntata fino a casa, imbavagliato, legato e rapinato. Da allora non esco più”

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“Zitto se no te sparo». Stava tornando a casa dopo una giornata di lavoro trascorsa dietro il bancone della sua macelleria dalle parti di piazza Navona, quando è stato catapultato in un incubo. Una pistola dietro la schiena, un accento romano e una mano che lo afferrava per il braccio.

È iniziata così la disavventura che un noto commerciante romano non dimenticherà mai: legato, imbavagliato e rapinato. Poco importa se le persone che hanno sequestrato lui e la moglie per ore sono state arrestate e condannate.

«Non esce più di casa, non lavora più, ha cambiato radicalmente abitudini di vita. Ha subito un trauma profondo», spiega l’avvocato che lo assiste, Fausto Amato, mentre si allontana dal tribunale di piazzale Clodio.

È qui che giovedì scorso è terminato il giudizio abbreviato con cui Domenico Sarno è stato condannato a scontare 6 anni e 6 mesi di carcere. Era la mente della banda, il basista. Anche Pietro Tundis, cinquantenne originario di Cosenza, era presente quel giorno di gennaio 2022 nella casa della vittima. Adesso ha patteggiato la sua condanna: 4 anni e 4 mesi di carcere.

Il giudice ha invece respinto la richiesta di patteggiamento avanzata nei confronti di Antonio Romano: secondo il gup la pena concordata, 3 anni di reclusione, è troppo esigua. Del resto è stato proprio Romano a dare il via ai fatti.

Il 21 gennaio di due anni fa il macellaio stava tornando a casa, dalle parti di via Tiburtina. L’uomo ha 77 anni e fa lo stesso percorso da tutta la vita: la mattina va a lavorare in piazza Navona e la sera ritorna. Solo che quel giorno le cose sono andate diversamente.

Mancavano venti minuti a mezzanotte quando la vittima ha sentito un ferro appoggiato alla sua schiena. Era una pistola. Alle sue spalle c’erano due uomini incappucciati. Lo hanno costretto a entrare in casa, dove sua moglie stava guardando un film in tv. In pochi secondi si è trovata al fianco del marito, in cucina, entrambi legati mani e piedi, con la bocca tappata con il nastro adesivo.

Immobili, mentre Tundis e Romano svaligiavano la loro casa, rovistavano in ogni cassetto, negli armadi. I loro vestiti, gli oggetti, venivano gettati per terra. Tutti, tranne quelli di valore. Un colpo studiato. Perché i rapinatori probabilmente sapevano che il macellaio in casa aveva parecchi preziosi: come i 20 orologi di varie marche, tra cui 4 in oro, che hanno rubato.

Poi monili e anche 20 mila euro che le vittime custodivano in camera da letto. Ancora, un libretto degli assegni e anche la patente di guida e la carta di identità del macellaio.

Valore del bottino, 100 mila euro. Poi si sono allontanati, lasciando le vittime legate e terrorizzate. «C’è un discorso che va oltre l’adeguatezza o meno della sentenza – spiega l’avvocato Amato – Questa vicenda non riguarda solo il danno patrimoniale subito dai miei assistiti, ma anche quello psicologico. Essere legati e minacciati per oltre un’ora mentre qualcuno svaligia la tua casa comporta delle conseguenze che lasciano segni per tutta la vita»

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