Non siamo qui per intrattenervi, la variante di Mark Fisher

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Per chi svolga funzioni di urbanistica, architettura o amministrazione municipale, la locuzione “cambiare città” non esprimerebbe tanto un proposito individuale di trasloco quanto un’aspirazione riformista. Bello o brutto che sia, il dato di fatto è però stato espresso da Charles Baudelaire in un suo verso sin troppo famoso: “La forme d’une ville change plus vite, hélas, que le coeur des mortels”. Quell’”hélas” inciso proprio lì in mezzo significa “purtroppo” e quindi sappiamo come il poeta la pensasse al riguardo. Ma il cambiamento della forma della città non solo è più veloce di quello del cuore dei mortali: soprattutto non dipende nient’affatto da esso. Purtroppo. Dei mortali non il cuore, non la mente modella la città, bensì la loro massa. La stocastica sciorinata nella storia ha piazzato là il mercato, più su gli edifici del culto e quelli del potere, in riva al fiume i ricchi, a sud di tutto i bassifondi, secondo convenienze occasionali, capricci, ragioni mai espresse o perse nell’oblio.

Le forze che imprimono la spinta oggi son quelle degli interessi economici: fondi di investimento, immobiliaristi, operatori turistici. Quindi le mutazioni sociali e demografiche e, in fondo in fondo, la politica. Cambiano così le città, cambia l’abitare, cambiano le abitudini.

Non è di continuo che avvertiamo lo scorrere del tempo ma soltanto in certi momenti particolari che lo scandiscono. Vale anche per lo spazio: nel luogo in cui viviamo, il panorama che ci circonda non ci stupisce più e non sempre badiamo ai suoi cambiamenti minimi. Se però abitiamo in una città da molto tempo ci ricordiamo bene di “com’era prima”: perché, a volte lentamente a volte in modo quasi fulmineo, le città cambiano in continuazione.

Ai nostri tempi si parla soprattutto di due tipi di trasformazione urbana. Il primo tipo è negativo, ed è il degrado. I possibili fattori di degrado sono diversi, reali o immaginari, e a volte persino contraddittori. L’incuria dei cittadini e l’ignavia degli amministratori, lo spopolamento e la sovrappopolazione, i cambiamenti economici e quelli climatici, il venir meno delle tradizioni e la volontà di non cambiare nulla.?

Il secondo tipo di trasformazione è invece consapevole, può essere positivo e può prendere nomi diversi, come per fare due esempi “rigenerazione” o “riqualificazione”. Le trasformazioni di questo tipo si realizzano in seguito a interventi mirati, previsti in un dato progetto o anche in un piano più complessivo, interventi che il più delle volte si vogliono appunto opporre al degrado (ma nei casi più virtuosi sono volti a prevenirlo).

Ma “consapevole” da parte di chi? Da parte di chi amministra, certo, e dagli esperti coinvolti nel processo decisionale.

La consapevolezza è però necessaria anche a un terzo soggetto. La storia antica ci mostra come la civitas originaria deriva dal rapporto tra i cives. Non si diventa concittadini perché si vive nella stessa città ma, all’inverso, è il senso di concittadinanza che fonda la città stessa. Ciò che va ottenuto e preservato è dunque la consapevolezza dei cittadini nei confronti dei problemi della città e delle trasformazioni a cui la sottopone o il degrado inerziale o la volontà di trasformare e rigenerare.

Viene spesso spontaneo impiegare nomi “valoriali” e “riqualificazione” o “rigenerazione” rientrano nella categoria: dicono subito cosa è bene e cosa è male. Ma perché il giudizio sul bene e sul male sia consapevole occorre aver compreso il processo di trasformazione, averne considerato il punto di arrivo e il punto di partenza.

Il valore della coesione sociale, per esempio, riguarda il rapporto che esiste fra ogni individuo e la società. Come avviene che un cittadino senta di essere o di non essere parte della cittadinanza? In che modo la trasformazione delle attività produttive e della composizione della popolazione hanno cambiato i parametri della coesione sociale?

“Rigenerazione” è un valore che parla dell’obsolescenza e del rinnovamento e prima che alle tecnologie questi termini vanno riportati alle persone, i cives che fondano la civitas. Cosa comporta l’aumento dell’età media in un centro urbano?

Il valore della cosiddetta “gentrificazione” riguarda la trasformazione di quartieri popolari e degradati in signorili. Nelle città si determinano dei pieni e dei vuoti, degli addensamenti e degli abbandoni, che trovano rilevanti cause ed effetti negli andamenti commerciali e nel mercato immobiliare, ancor prima che nelle scelte urbanistiche e amministrative. Starebbe a una nuova cultura della città far emergere consapevolezze e parametri di giudizio: gli strumenti critici utili innanzitutto ai cittadini per valutare sia le trasformazioni – quelle che avvengono da sé e quelle che vengono pianificate – sia il modo in cui si cerca di governarne il corso.

Il libro
Non siamo qui per intrattenervi
di Mark Fisher (minimum fax, traduzione di Vincenzo Perna, pagg. 327, euro 20, voto 8/10)

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