Sinner, la Davis e l’attimo in cui è nato un fuoriclasse

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E poi, stavolta davvero, la luce era spenta e nessuno al mondo avrebbe visto niente, non una via d’uscita, uno spiraglio. Niente. Nessuno tranne Jannik Sinner. Tre match point a favore del suo avversario, che è il numero 1 al mondo, che quando ribalta il piano inclinato di un match non lo prendi più. Da che parte è lo spogliatoio? Invece. Se le cose procedono come sembra debbano e un giorno ci volteremo indietro a cercare quando Sinner ha messo la freccia per sorpassare la fila dei campioni diventando un fuoriclasse è qui che dovremo guardare nel retrovisore, a quei momenti di Malaga. Lo sport e la vita trovano la felicità nelle rimonte, più sono difficili e più grande è la festa. Lambruschini agli Europei di Helsinki 1994 che durante i tremila siepi cade, viene rialzato da Panetta, riparte e va a prendersi la medaglia d’oro. Valentino a Donington nel 2000 che accende il motore in quarta fila, scivola tredicesimo poi si ricorda che al traguardo non si arriva in retromarcia, infila tutti come un cammello la cruna di dodici aghi e passa per primo. I ragazzini thailandesi usciti dalla grotta, quelli colombiani sopravvissuti nella giungla, tutti gli uomini e donne dati per spacciati che sconfiggono la prognosi e tornano un giorno imprevisto sul campo da tennis. Dove trovano Sinner, che annulla il primo match point a Djokovic, grazie a un suo errore, poi va a meritarsi l’estrema fortuna allungando a 5 la serie di colpi vincenti, ma mettendoci dentro due ace e una volée di dritto (che fino a qualche tempo fa avrebbe tentato solo nei giorni dispari di un mese con 30 giorni in un anno bisestile).

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In un vecchio libro di Richard Bach chiamato Illusioni c’era questo aforisma: “Mai ti si concede un desiderio senza che ti si conceda insieme la possibilità di realizzarlo. Costerà fatica, tuttavia”. La prima parte è quella che tiene in campo e spinge a provarci contro ogni logica che non sia quella della propria volontà. La seconda è quella decisiva. In Sinner vedi la fatica sotto la pelle, per come l’ha cambiata nel giro di pochi mesi, variando il gioco e aggiungendo alla mentalità che gli permetteva di resistere il guizzo che lo fa osare. Manca una parola nell’aforisma di Bach: coraggio. Non ci si lascia prendere a pallate da Djokovic o dal destino, non ci si limita a respingere gli assalti, a confidare nella cortesia degli estranei o negli svarioni dei nemici, ma si prende tutto quel che con il sacrificio si è provato per diventare migliori e lo si porta a rete. Poi va come deve. Ci sarà sempre una rivincita. A volte, un attimo dopo, ma il risultato non cambia (più).

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