Venti giorni di fermo e multa per la Mare Jonio. “Non avete chiesto porto sicuro in Libia”

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Venti giorni di fermo e una multa per non aver chiesto istruzioni alla Guardia costiera di Tripoli e porto sicuro in Libia. Sebbene neanche il Viminale la inserisca ormai da anni nella lista dei “Paesi sicuri” e più di una volta quest’anno diverse navi ong siano state attaccate dalle motovedette libiche in acque internazionali, per la Capitaneria di porto di Trapani l’equipaggio della Mare Jonio avrebbe dovuto bussare alla Libia per mettere in salvo i naufraghi che proprio da lì stavano scappando.

A poche ore dallo sbarco delle sessantanove persone soccorse in mare e a meno di una settimana dal ritorno in missione. l’unica nave civile italiana si deve fermare ancora. Motivo? Aver salvato quelle persone senza aver chiesto istruzioni alle autorità del Paese in cui almeno un terzo dei naufraghi soccorsi ha subito torture sistematiche.

Uno di loro, appena arrivato a Trapani, è stato portato immediatamente in ospedale per una frattura scomposta mai curata. Un altro, un ragazzo sudanese di 22 anni, ha raccontato che i carcerieri che lo tenevano prigioniero ogni giorno gli fratturavano un dito del piede per costringerlo a chiedere alla famiglia i soldi del riscatto. Per gli altri, spiegano da bordo, parlano corpi martoriati, cicatrici, mutilazioni.

A dispetto della sentenza, divenuta definitiva l’ottobre scorso, che ha condannato il comandante della Asso28 per aver sbarcato a Tripoli un gruppo di naufraghi soccorsi perché, scriveva la giudice di primo grado, “la Libia non poteva e non può, allora come ora, essere considerata porto sicuro”, per la Capitaneria – si legge nel provvedimento – l’equipaggio avrebbe dovuto rivolgersi ai libici. E Mare Jonio è sanzionabile perché “la nave ha reso noto con comunicazione inviata solamente al centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo italiano di non aver potuto contattare nell’immediatezza il centro di soccorso libico, ma di contro di non ritenerlo legittimo, senza mai chiedere l’assegnazione del porto di sbarco”. E gli elementi, emerge dal provvedimento, stanno tutti dentro un documento arrivato da Roma, nello specifico dal centro di coordinamento nazionale per l’immigrazione del Viminale.

Quel pomeriggio inutilmente SeaBird , l’aereo ong di SeaWatch, aveva segnalato la posizione di quel gommone in difficoltà. Roma è rimasta sorda e muta. Anche alle comunicazioni arrivate dalla Mare Jonio nessuno dal centro di coordinamento e soccorso italiano aveva risposto, salvo poi indicare di contattare Tripoli perché competente su quell’area di acque internazionali. Ma nel frattempo, quel gommone ridotto a uno straccio era stato individuato, un uomo era già in acqua e l’intervento era necessario nell’immediato. “E poi cosa avremmo dovuto fare – dice la capomissione Sheila Melosu – rimettere queste persone nelle mani dei loro aguzzini e torturatori? Commettere un crimine contro l’umanità in violazione del diritto internazionale?”.

Del resto, ricorda l’armatore sociale Alessandro Metz, “la cosiddetta guardia costiera libica è sotto inchiesta davanti alla Corte Penale Internazionale, si è resa responsabile – anche recentemente – di violenti comportamenti che hanno messo in pericolo la vita delle persone in mare, diversi suoi ufficiali sono considerati trafficanti o loro complici”. Tanto per le Nazioni Unite come per la Commissione europea, aggiunge “è porto e Paese ‘non sicuro’, proprio per le innumerevoli violazioni dei diritti umani di cui le sue autorità si rendono quotidianamente responsabili”.

A partire dai respingimenti, cioè riportare le persone nel Paese da cui scappano. Una pratica illegale, quanto meno per i Paesi che come l’Italia hanno firmato la Convenzione di Ginevra. La Libia non l’ha mai fatto e quotidianamente intercetta e riporta indietro chi fugge. E’ possibile che sia successo anche a chi viaggiava sul secondo gommone inutilmente cercato da Mare Jonio, con il coordinamento delle autorità italiane, dopo il primo soccorso.

Di chi era a bordo non si sa nulla. L’aereo di Sea Watch il giorno dopo ha avvistato solo un guscio vuoto senza motore, la “firma” della Guardia costiera libica. Per i 69 naufraghi salvati da Mare Jonio invece il soccorso è concluso. In mattinata, uno dopo l’altro sono scesi dalla scaletta della nave di Mediterranea. Fra i primi a sbarcare, il più giovane dei disperati tirati su dallo straccio sgonfio individuato al largo delle coste libiche. È un neonato di soli due mesi, che viaggiava con i genitori, il fratellino di 3 anni e la sorella di 5, dopo poche ore a bordo diventata di tutti la mascotte.

“Oggi festeggiamo la vita, – conclude Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans – il migliore futuro possibile in Europa per le persone che abbiamo soccorso e sbarcato al sicuro, festeggiamo il sorriso di speranza delle bambine e dei bambini a bordo. È questo ciò che conta e affrontiamo perciò a testa alta le conseguenze di ciò che abbiamo fatto. Siccome non è altro che il rigoroso rispetto del diritto marittimo e internazionale, oltre che della nostra etica di donne e uomini liberi, ricorreremo a ogni livello contro questi ingiusti provvedimenti di blocco della nostra nave.”

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