Voglia di Minculpop

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Abbassare la guardia, aprire le maglie, allentare le difese sulla giustizia. Ridisegnare la figura e le prerogative della Presidenza della Repubblica, limitare, condizionare i poteri della magistratura. E infine mettere sotto bavaglio il diritto di cronaca, magari istituire una commissione che controlli la “veridicità” delle notizie pubblicate sui siti, ovviamente a discrezione di commissari nominati da questa destra, occupare tutti gli spazi televisivi e culturali in cui il governo può intervenire.

A scorrerlo così sembra il corollario di un potere che, consolidatosi nei palazzi e alla guida delle istituzioni come non aveva mai potuto fare nell’Italia antifascista, ha deciso di farsi autoritario. Di svoltare e seguire modelli da satrapia orientale, allontanandosi progressivamente ma inesorabilmente dal modello riconosciuto di democrazia europea. Sono puntini fatti di norme e proposte di legge ed emendamenti e semplici annunci che, uniti, danno vita a un disegno che neanche le più pessimistiche previsioni potevano svelare così lontano dal tempo che viviamo. E tutto questo accade nonostante le rassicurazioni e i sorrisi di una presidente del Consiglio che pensa di poter esaurire la fastidiosa pratica del fact-checking sottoponendosi una volta l’anno alla maratona di tre ore e passa di una conferenza stampa, come l’ultima della settimana scorsa.

E invece i tanti campanelli d’allarme che stanno risuonando contemporaneamente ad apertura di quest’anno – che farà da spartiacque per le sorti della politica e del governo italiano – fanno comprendere quanto rischi di logorarsi se non strapparsi il nostro tessuto democratico. Come mai era avvenuto in 78 anni di Repubblica italiana.

Casse vuote e sacrifici: ora per Meloni la grande paura è sul dopo Europee

Già nelle prossime ore riprenderà in commissione Giustizia alla Camera il cammino del disegno di legge Nordio che porta in grembo la norma con la quale questa maggioranza, con l’ormai abituale quanto superfluo sostegno di Azione e Italia Viva (Calenda e Renzi, che continuano a marciare divisi per colpire uniti), si prefigge tra l’altro di mandare in soffitta il reato di abuso d’ufficio. Come chiedono a gran voce stuoli di amministratori di centrodestra e, in qualche caso, anche di centrosinistra. Eppure, la Commissione europea in una direttiva aveva sollecitato tutti gli Stati membri a tenere in vita e potenziare le sanzioni legate a quel reato. La direttiva, inutile dirlo, qualche mese fa è stata stracciata e bocciata dalla maggioranza. E a poco è valsa la moral suasion del Colle e l’allarme lanciato dalla Procura nazionale antimafia (“L’abuso è un reato spia anche per i reati di mafia”). La legge-bavaglio, che ha vietato la pubblicazione delle ordinanze e perfino dei loro estratti, è stata addirittura confezionata dal parlamentare dell’ormai ex Terzo Polo Enrico Costa e approvata con un autentico blitz in Parlamento degno delle peggiori “salva-ladri” e “salva corrotti” di alcune legislature fa. La matrice politica, va da sé, è sempre la stessa.

Giustizia, l’anno nero. Parte dalla prescrizione l’assalto della destra

Del resto, questo è il governo il cui ministro della Giustizia, Nordio, si propone in una ventilata “seconda fase” della sua sciagurata riforma di intervenire per limitare drasticamente lo stesso ricorso alle intercettazioni, pallino e maledizione di una classe politica, sempre quella, che non ha mai sopportato che i propri elettori o i colletti bianchi da proteggere fossero ascoltati, osservati, giudicati. Sarebbe meglio silenziare, proteggere, non fare nomi.

Sembra un brutto film. Così, come in una sceneggiatura di terz’ordine fin troppo prevedibile, spunta adesso l’idea del presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone (toh, deputato di Fratelli d’Italia), di riformare l’editoria per evitare che “si finisca per criminalizzare, se non ridicolizzare, le libere opinioni” del suo partito, “la classe dirigente che tutti denigrano”, come ha confessato ieri a Giovanna Vitale sulle pagine di questo giornale. Allora occorre una bella stretta sui siti, un qualche meccanismo di controllo non meglio congegnato. Proposito nelle ultime ore ridimensionato e minimizzato dal diretto interessato, forse in un prevedibile sussulto del suo senso del ridicolo.

Polemiche sulla proposta di Mollicone: “Notizie certificate? È il Minculpop”. Il deputato FdI: “Nessun bavaglio ma serve dibattito”

Il redivivo Minculpop sarebbe troppo perfino per questa banda di sprovveduti con la quale Giorgia Meloni si ritrova a governare un Paese del G7. Certo è che, ovunque si vada a parare, alla fine è sempre più forte di loro: la voglia della purga e dello scardinamento del sistema ha la meglio e prevale su tutto. All’opposizione politica non resta che alzare ancor più la voce, farsi sentire, svegliare le coscienze. A noi, il compito civile di continuare a raccontare e a raccontarli. A dispetto di ogni bavaglio. E di ogni censura.

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