Europei, Matteo Pessina, lo studente goleador che voleva smettere: “Questa Nazionale è un Van Gogh: bella, particolare, unica”

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Firenze –  “In tutte le cose che fai devi sapere cogliere l’attimo, è una mia caratteristica da sempre. Io sono un ragazzo tranquillissimo, che sta bene con tutti. È la mia dote più importante: essere un ragazzo normale”. Matteo Pessina è la grande scoperta della Nazionale: 2 gol in 140 minuti all’Europeo, 4 in 8 presenze e in 346 minuti con la maglia azzurra. La media è di un gol ogni 86 minuti, da attaccante più che da centrocampista universale. Ma il numero 12 dell’Italia di Mancini – maglia involontariamente simbolica del fatto che, dopo essere entrato tra i 26 della lista per l’assenza dell’ultima ora di Sensi, è diventato il vero titolare aggiunto – è anche, e soprattutto, il classico ragazzo della porta accanto: gioca bene a pallone, ma è anche uno studente universitario modello, iscritto a economia, appassionato di arte e di design.

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E capace, perciò, di un paragone appropriato: “Se devo pensare a un’opera d’arte alla quale associare questa Nazionale, mi viene in mente Van Gogh, del quale ho in camera mia a casa, appesa alla parete, la riproduzione del “Mandorlo in fiore”. Questa squadra è come un suo dipinto: molto particolare, molto bello, molto unico”. È anche la Nazionale degli  studenti, degli appassionati di libri, dei laureati: Pessina condivide con Raspadori, Locatelli, Sirigu e Chiellini la consapevolezza dell’importanza dello studio: “Che aiuti anche nel giocare a calcio io l’ho sempre pensato. Ho avuto la fortuna di avere genitori e nonni che mi hanno insegnato questo. Giocare a pallone per me era un premio dopo avere studiato, gioisco nel farlo e mi diverto ancora come da bambino, con questa stessa sensazione. Di sicuro ormai abbiamo abbattuto lo stereotipo del giocatore che pensa a giocare a calcio e basta. Siamo ragazzi intelligenti, credo che lo abbiate visto. Abbiamo tante passioni e hobby e la mente aperta verso tantissimi mondi”.

La nonna, ex professoressa di latino, faticò all’inizio a vedere il nipote nei panni del calciatore professionista: “Ci ha messo un po’ a capire questa cosa, ma ora non può che esserne felice. Lei e il nonno hanno visto la partita in un bar, prima di prendere il traghetto per la Sardegna. Il nonno ha detto a tutti che ero suo nipote, gli hanno offerto da bere”. Non è stato un percorso senza ostacoli, però, quello del talento dell’Atalanta: il suo equilibrio psicologico è stato la dote che gli ha permesso di superare le difficoltà, dagli infortuni alle stagioni in cui non giocava in serie C, a Lecce e a Catania: “La famiglia è stata la mia fortuna: mi ha sempre fatto restare con i piedi per terra. Ho ascoltato i loro consigli importanti. Quando non giocavo in C, ho passato momenti complicati e ho pensato anche di smettere. Gli infortuni possono succedere: l’importante è tenere duro e saper superare le difficoltà”.

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