Sea Watch bloccata da 15 giorni a Reggio Calabria: e intanto i migranti muoiono nel Mediterraneo

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Scafo blu, corpo, a Reggio Calabria Sea Watch3 è una sagoma che si intravede in lontananza, si spia dalla sopraelevata. Esiliata nella parte più inaccessibile del porto, lì dove per lungo tempo sono invecchiati i traghetti dismessi della flotta Matacena, da due settimane è ferma nella città dello Stretto. O meglio, è costretta a stare ferma.

“È indicativo di quanto si dia valore alle vite umane”, mastica amaro Rachele Giorgi, dell’advocacy di SeaWatch. “Se l’Italia e l’Unione europea ritenessero davvero prioritario salvare persone, le nostre navi non sarebbero inutilmente ferme, ma in mare, al fianco di una missione europea di soccorso”. Ma non esiste.

E anno dopo anno il  Mediterraneo continua a inghiottire vite: 1.400 nell’ultimo anno, 25mila dal 2013 ad oggi secondo l’Oim. Una strage silenziosa che ormai solo la sparuta flotta delle navi ong – non si arriva a dieci – tenta di contrastare. Da settimane però su SeaWatch, una delle più grandi e meglio equipaggiate, non può contare.

Il 21 settembre scorso è stata bloccata dalla Capitaneria con un fermo amministrativo dopo l’approdo a Reggio Calabria. Una missione complicata, con il mare agitato dallo Scirocco, innumerevoli barchini in difficoltà da soccorrere perché finiti alla deriva. In tanti in quelle settimane sono rimasti senza né acqua, né cibo. E per questo, c’è chi sulla terraferma non ci è più arrivato.

Di sopravvissuti al mare, SeaWatch ne aveva a bordo più di quattrocento. Gli ispettori della Capitaneria si sono presentati a bordo per un Psc – Port state control, in gergo tecnico – appena concluso lo sbarco dei naufraghi. Risultato, un lungo elenco di criticità. Generalmente si dà agli equipaggi la possibilità di superare le criticità o mancanze, solo quelle più gravi portano al blocco della nave. SeaWatch da Reggio Calabria non si può muovere.  

“Per noi il problema non sono state le motivazioni tecniche. Un rubinetto che perde o un cartello fuori posto sono fisiologici su una barca che in mare è stata tanto tempo e con tante persone a bordo. A impedirci di ripartire sono motivazioni politiche: anche questa volta siamo accusati di aver salvato troppe persone”.  Altra anomalia: “in genere, è la stessa Capitaneria a indicare come risolvere il problema. In questo caso no”.

Ufficialmente, il carico eccessivo avrebbe comportato un rischio per la sicurezza. “Ma evidentemente ci si dimentica quello che ha stabilito la Corte di Giustizia europea l’uno agosto scorso”. In quella sentenza si dice in modo chiaro che il numero di persone non può essere motivo sufficiente per bloccare un’imbarcazione. “E per una ragione molto semplice – dice Rachele Giorgi – gli Stati di approdo devono considerare le condizioni di sicurezza alla luce dell’esigenza di soccorrere persone a rischio vita”.

Traduzione, di fronte a persone in difficoltà, che rischiano di essere inghiottite dal mare, la scelta non esiste. Al massimo, si può decidere di abbandonarle al proprio destino. “E questa sì – sottolineano da SeaWatch – è violazione delle leggi internazionali che impongono di soccorrere chi si trovi a rischio vita”.

Ma in Italia, denunciano, il vento è cambiato. E da tempo. “Avevamo già ricevuto un’ispezione due settimane fa, è irrituale che ne arrivi un’altra a distanza di tempo così breve. Generalmente si concede agli equipaggi il tempo necessario per risolvere i problemi. Invece è arrivato un controllo ancora più puntiglioso”. SeaWatch non è stata l’unica. Nelle ultime settimane, diverse navi della flotta civile sono state sottoposte a ispezioni e controlli. “Appare chiaro ormai – denuncia Giorgi – che sia una mossa politica mirata a impedire alle navi civili di stare nel Mediterraneo e vedere quello che succede. L’Italia, come l’Europa hanno esternalizzato le politiche di respingimento, delegando alla Libia il lavoro sporco”.

E con il futuro governo di centrodestra – è sensazione diffusa fra le ong della flotta civile – la situazione non potrà che peggiorare. “Se il futuro governo guidato da Giorgia Meloni “deciderà di chiudere i porti alle Ong di salvataggio, le conseguenze umanitarie saranno catastrofiche perché il numero di morti nel Mediterraneo aumenterà in modo esponenziale e la situazione, lungi dal risolversi con un minimo di sensibilità e solidarietà, peggiorerà”, denuncia Salvamento Marítimo Humanitario (Smh), che a breve tornerà in mare con la sua Aita Mari. “Siamo profondamente preoccupati per l’alleanza di partito di destra che probabilmente governerà, che vuole impedire attivamente che le persone in fuga vengano salvate”, fa eco la tedesca SosHumanity.

“Siamo coscienti di non andare certo incontro ad un periodo roseo – dice Giorgi –  ma sappiamo anche di non aver mai lavorato con governi che ci sostenessero. Di certo noi non ci tireremo indietro”. A Reggio Calabria, i 22 uomini dell’equipaggio lavorano giorno e notte per mettere a posto le criticità indicate dalla Capitaneria. E in cantiere c’è già SeaWatch5, la nuova nave che già fra qualche mese potrebbe prendere il largo.  

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